Fiducia supplicans e il senso della fede (sensus fidei)

<i>Fiducia supplicans</i> e il senso della fede (<i>sensus fidei</i>)

Fr. Emmanuel Perrier, o.p.

[Traduzione dell’articolo «Fiducia supplicans face au sens de la foi», pubblicato sul la Revue Thomiste.fr Per la traduzione: CC dogamtv.it: BY-NC-SA] La dichiarazione “Fiducia supplicans” del 18 dicembre 2023 ha suscitato molto scalpore. In questo primo articolo ne esponiamo le ragioni principali.

Come figli della Chiesa fondata sugli apostoli, non possiamo che essere allarmati per lo scompiglio nel popolo cristiano causato da un testo proveniente dall’entourage del Santo Padre[1]. È insopportabile vedere i fedeli di Cristo perdere fiducia nella parola del pastore universale, vedere i sacerdoti divisi tra il loro attaccamento filiale e le conseguenze pratiche che questo testo li costringerà ad affrontare, vedere i vescovi divisi. Questo fenomeno di vasta portata a cui stiamo assistendo è indicativo di una reazione propria del sensus fidei. Il “senso della fede (sensus fidei)” è l’attaccamento del popolo cristiano alle verità di fede e di morale[2]. Questo attaccamento comune, “universale” e “indefettibile” deriva dal fatto che ogni credente è mosso dall’unico Spirito di Dio ad abbracciare le stesse verità. Ecco perché, quando le affermazioni sulla fede e sulla morale offendono il sensus fidei, c’è un istintivo moto di diffidenza che si manifesta collettivamente. È necessario, tuttavia, esaminare la legittimità di questa sfida e le ragioni che la giustificano. In questa sede ci limiteremo alle sei ragioni che ci sembrano più salienti.

1. Non c’è benedizione che non sia ordinata alla salvezza.

Infatti, “la benedizione è un’azione divina che dà vita e la cui fonte è il Padre. La sua benedizione è insieme parola e dono” (CCC 1078). Questa origine divina indica anche il suo fine, espresso con forza da San Paolo: Benedetto sia il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli per mezzo di Cristo. Così ci ha scelti in lui fin da prima della fondazione del mondo per essere santi e irreprensibili al suo cospetto nell’amore (Ef 1,3).

Ricordando l’origine e il fine di ogni benedizione, diventa chiaro quale grazia chiediamo quando benediciamo: deve portare la vita divina per essere “santi e irreprensibili alla sua presenza”. La benedizione, dunque, è solo per la santificazione e la liberazione dal peccato, e serve quindi a lodare Colui che ha fatto tutte le cose (Ef 1,12).

È impossibile per la Chiesa allontanarsi da questo ordine divino di benedire per la salvezza. Qualsiasi proposta di benedire senza che questa benedizione sia esplicitamente ordinata ad essere “santa e immacolata”, anche per motivi altrimenti lodevoli, offende quindi immediatamente il sensus fidei.

2. La Chiesa non conosce altro modo di benedire se non in una liturgia.

Tutti sono chiamati a benedire Dio e a invocare le sue benedizioni. La Chiesa fa lo stesso e intercede per i suoi figli. Ma tra il singolo credente e la Chiesa, il soggetto che agisce non è della stessa natura, e questa differenza ha conseguenze importanti quando consideriamo l’azione della benedizione. Alla radice, le benedizioni ecclesiali – e con questo intendiamo le benedizioni della Chiesa stessa – emanano dall’unità misteriosa e indefettibile che costituisce il suo stesso essere[3].

Da questa unità che la lega al suo Sposo Gesù Cristo, deriva che le suppliche che essa rivolge sono sempre gradite a Dio; sono come le suppliche di Cristo stesso a suo Padre. Per questo, fin dall’inizio, la Chiesa non ha mai smesso di benedire, con la certezza di ottenere molti effetti spirituali di santificazione e liberazione dal peccato[4].

La benedizione è dunque un’attività vitale della Chiesa. Potremmo parlare dell’attività vitale del suo cuore: esso è fatto per assicurare la circolazione delle benedizioni, da Dio all’uomo e dall’uomo a Dio (cfr. Ef 1,3), secondo una sistole che diffonde le benedizioni divine e una diastole che accoglie le suppliche umane. Il risultato è che le benedizioni ecclesiali sono di per sé un’opera sacra. Si potrebbe addirittura dire che esse costituiscono l’essenza della liturgia cristiana, come testimoniano le fonti storiche[5].

Per la Chiesa, benedire secondo una qualche forma liturgica non è un’opzione; non può fare altrimenti per quello che è, per l’attività vitale del cuore ecclesiale. Ciò che ha il potere di fare, tuttavia, è stabilire le modalità e le condizioni delle benedizioni, il loro rituale, come avviene per i sacramenti[6].

Una benedizione non è dunque liturgica perché è stato istituito un rito, come se “liturgia” significasse “ufficiale”, o “obbligatorio”, o “istituzionale”, o “pubblico”, o “grado di solennità”; o come se “liturgia” fosse un’etichetta apposta dall’esterno a un’attività ecclesiale.

Una benedizione è liturgica quando è ecclesiale, perché coinvolge il mistero della Chiesa nel suo essere e nel suo agire. È qui che entra in gioco il sacerdote[7]. Quando i fedeli si rivolgono al sacerdote per chiedere la benedizione della Chiesa e il sacerdote li benedice in nome della Chiesa, egli agisce nella persona della Chiesa. Ecco perché questa benedizione non può che essere liturgica, perché è l’intercessione della Chiesa a fornire questo sostegno e non l’intercessione di un singolo fedele.

Non sorprende quindi che il sensus fidei sia disturbato quando si insegna che un sacerdote, richiesto come ministro di Cristo, potrebbe benedire senza che questa benedizione sia un’azione sacra della Chiesa, semplicemente perché non è stato stabilito un rituale. Ciò equivale a dire che la Chiesa non agisce sempre come la Sposa di Cristo, oppure che non presume sempre di agire come la Sposa di Cristo.

3. Ogni benedizione ha uno scopo morale

Una benedizione si applica a persone o cose a cui Dio concede liberamente un beneficio. Il dono concesso da una benedizione soddisfa quindi tre serie di condizioni. – Da parte di Dio, il dono è l’effetto della liberalità divina; ha sempre la sua fonte nella misericordia divina in vista della salvezza. Per questo Dio benedice in base a ciò che ha disposto come via di salvezza, Gesù Cristo Verbo incarnato, morto e risorto per redimerci, ma anche in base a ciò che è utile alla salvezza. Ne consegue, da un lato, che il dono non può essere contrario all’ordine creato, in particolare alla differenza primordiale tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre (cfr. 1Gv 1,5), tra la perfezione e la privazione della perfezione (cfr. Mt 5,48).

Né il dono divino può essere contrario all’ordine della grazia, soprattutto in quanto ci rende giusti davanti a Dio (cfr. Rm 5,1ss.). D’altra parte, Dio dà secondo ciò che ritiene opportuno dare a ciascuno al momento opportuno. Dio vede più lontano di noi e vuole dare più di quanto ci aspettiamo. Per questo, tra l’altro, permette tribolazioni, prove e sofferenze (cfr. 1 Pt 1,3ss; 4,1ss) per potare ciò che è morto e far fruttificare ciò che è vivo (Gv 15,2).

Da parte del destinatario, il dono di una benedizione non presuppone che egli sia già perfetto, il che renderebbe il dono inutile, ma presuppone che egli abbia la fede e l’umiltà di riconoscere la propria imperfezione davanti a Dio. Inoltre, affinché il dono produca il suo effetto, il cuore deve essere disposto alla conversione e al pentimento. La benedizione non è per la stagnazione morale, ma per il progresso verso la vita eterna e l’allontanamento dal peccato.

Infine, dal lato della benedizione stessa, c’è un ordine: le benedizioni temporali sono in vista dei beni spirituali; le virtù naturali sono sostenute e ordinate dalle virtù teologali; i beni per se stessi sono in vista dell’amore per Dio e per il prossimo; la liberazione dai mali corporei è in vista delle libertà spirituali; la forza per superare i dolori è in vista della forza per respingere le colpe.

Tutto ciò dimostra che le benedizioni hanno sempre uno scopo morale, nel senso che la morale è il modo umano di agire per il bene e allontanarsi dal male: Dio dà i suoi doni affinché l’uomo possa praticare la giustizia obbedendo ai comandamenti e avanzare sulla via della santità sull’esempio di Cristo; l’uomo riceve questi doni come agente razionale che riceve l’aiuto della grazia per diventare buono; i doni sono benefici per la crescita spirituale.

È quindi comprensibile che il sensus fidei sia disturbato quando le benedizioni sono presentate in modo tale da confondere il loro significato morale. Infatti, l’istinto di fede non è legato solo alle verità rivelate, ma si estende alla messa in pratica di queste verità in conformità con la morale del Vangelo e della Legge divina (cfr. ad es. Giacomo 2,14ss.). Per questo motivo il sensus fidei è restio a vedere neutralizzata o distorta la bussola morale delle benedizioni.

Questo accade quando una condizione della benedizione viene enfatizzata a scapito delle altre. Ad esempio, la misericordia di Dio e il suo amore incondizionato per il peccatore non impediscono la finalità di questa misericordia e di questo amore incondizionato, e non annullano le condizioni del beneficiario o l’ordine dei benefici.

Allo stesso modo, quando si parla degli effetti piacevoli (conforto, forza, tenerezza) si tace sugli effetti spiacevoli, anche se sono le vie necessarie alla liberazione (conversione, rifiuto del peccato, lotta contro i vizi, guerra spirituale).

Infine, quando ci limitiamo a termini generali (carità, vita) senza indicare le conseguenze concrete che sono la ragione stessa di una particolare benedizione.

4. Dio non benedice il male, a differenza dell’uomo

È necessario ricordare che, dalle prime parole della Sacra Scrittura fino alle ultime, la Rivelazione afferma la bontà di Dio e delle sue opere? Dio non solo è vivo, ma è la Vita (Gv 14,6). Dio non è solo buono, è buono per essenza (cfr. Lc 18,19). Per questo “non c’è aspetto del messaggio cristiano che non sia in parte una risposta alla domanda sul male” (CCC, 309), non solo perché l’uomo si pone questa domanda, ma prima di tutto perché Dio è Dio.

A differenza di Dio, l’uomo è diviso di fronte al male. Fin dalla caduta originale, ci siamo allontanati dal bene divino a favore di altri fini. La Sacra Scrittura chiama questo modo di smarrirsi, di perdere di vista il vero bene per puntare a un bene apparente, come una freccia che manca il bersaglio, peccato. Il peccato è imputabile all’uomo a causa della sua colpa. E nella sua colpa, l’uomo si impegna nel male.

Questa è la differenza tra Dio e l’uomo: Dio non benedice mai il male, ma benedice sempre per liberarci dal male (una delle petizioni del Padre nostro, cfr. Mt 6,13), affinché siamo perdonati per i nostri peccati e smettiamo di commettere il male, affinché non siamo schiacciati dai nostri peccati ma riscattati da essi. Da parte sua, la tendenza dell’uomo peccatore è certamente quella di rifiutarsi di benedire il male, ma solo fino a un certo punto, cioè finché non prevale il suo compromesso con il male. Arrivato a questo punto, preferisce “compromettere o distorcere la misura del bene e del male per adattarla alle circostanze”, “fa della sua debolezza il criterio di verità sul bene, per sentirsi giustificato solo da essa”[8]. In altre parole, la caratteristica delle benedizioni umane è quella di manomettere regolarmente il termometro morale per accomodare un disordine rispetto al vero bene.

Giovanni Paolo II ha presentato la parabola del fariseo e del pubblicano (cfr. Lc 18,9-14) come un’illustrazione sempre attuale di questa tentazione: il fariseo benedice Dio ma non ha nulla da chiedergli se non di conservarlo così com’è; il pubblicano confessa il suo peccato e implora da Dio una benedizione di giustificazione. Il primo ha manomesso il termometro, il secondo si cura fidandosi del termometro.

L’impressione che il termometro morale venga manomesso per benedire atti disordinati non può che rendere sospettoso il sensus fidei. Certo, questo sospetto deve essere depurato da qualsiasi proiezione in una morale ideale o in una rigidità morale valida solo per gli altri. Ma resta il fatto che il sensus fidei colpisce nel segno quando esprime allarme per il fatto che si possa dire che Dio benedice il male. Quale peccatore non si scandalizzerebbe se una voce autorevole gli dicesse che, alla fine, la misericordia di Dio benedice senza liberare, e che d’ora in poi sarà accompagnato nella sua miseria ma anche abbandonato alla sua miseria?

5. Magistero: l’innovazione implica responsabilità

“A Dio che rivela dobbiamo portare l’obbedienza della fede”[9]. In concreto, poiché l’intelletto conosce per mezzo di proposizioni, l’obbedienza della fede è un assenso volontario a proposizioni vere. Per esempio, per fede riteniamo vera la proposizione: “Dio Padre Onnipotente è il creatore del cielo e della terra”. Tutte le verità a cui la fede è legata si trovano nell’”unico sacro deposito della parola di Dio”, costituito dalla Sacra Tradizione e dalla Sacra Scrittura. Questo sacro deposito ha un unico autentico interprete, il Magistero. Il Magistero “non è al di sopra della parola di Dio scritta o trasmessa”. Ha la responsabilità, con l’assistenza dello Spirito Santo, “di ascoltare con pietà, di santificare e di esporre fedelmente” la Parola di Dio quando insegna le verità in essa contenute[10]. L’insegnamento del Magistero si divide in due categorie[11]. Il Magistero cosiddetto “solenne” è un insegnamento privo di possibili errori. Le verità insegnate in modo solenne richiedono l’obbedienza della fede in un “omaggio completo dell’intelligenza e della volontà”[12]: è il caso di tutto ciò che è stato appena detto a proposito del sacro deposito della Parola di Dio e della funzione e responsabilità del Magistero. D’altra parte, il Magistero cosiddetto “ordinario” è un insegnamento assistito dallo Spirito Santo, e come tale deve essere accolto con un “religioso omaggio dell’intelligenza e della volontà”[13], anche se è infallibile solo se è universale.

Questi richiami sono importanti quando un testo, che ha tutta l’apparenza di un testo del Magistero cosiddetto “ordinario”, intende insegnare una proposta descritta come un “contributo specifico e innovativo” che comporta un “reale sviluppo”[14]. In questo caso, la proposta è la seguente:

”È possibile benedire le coppie in situazione irregolare e le coppie dello stesso sesso, in una forma che non deve essere fissata ritualmente dalle autorità ecclesiali, per non creare confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio” (FS, n. 31).

Quanto alla conclusione, essa contraddice un Responsum dello stesso Dicastero, emanato tre anni prima, la cui proposizione principale è la seguente:

“Non è lecito dare la benedizione a relazioni o unioni, anche stabili, che comportino pratiche sessuali al di fuori del matrimonio. La presenza in queste relazioni di elementi positivi [non è sufficiente…] poiché questi elementi sono al servizio di un’unione non ordinata al disegno del Creatore”[15].

Ci troviamo quindi di fronte a due proposizioni, che pretendono entrambe di essere vere in quanto emanate dall’ “unico interprete autentico” del deposito rivelato, ma che allo stesso tempo sono contraddittorie. Per uscire da questa contraddizione, dobbiamo rivolgerci alle ragioni addotte in ciascuno dei testi.

La dichiarazione Fiducia supplicans ha il privilegio di essere più recente[16]. Nelle sue motivazioni, essa afferma di non contraddire il precedente Responsum: le due proposizioni sarebbero vere, ciascuna sotto un aspetto diverso, in modo da essere complementari. La benedizione delle coppie omosessuali a) sarebbe infatti illecita se avvenisse liturgicamente in una forma ritualmente fissata (la soluzione del Responsum), ma b) diventerebbe possibile se avvenisse senza rito liturgico e “evitando che diventi un atto liturgico o semiliturgico simile a un sacramento” (FS, n. 36).

Leggendo ora il Responsum, vediamo che, nonostante i chiarimenti forniti, la contraddizione rimane. Certo, si corre il pericolo di una confusione con la benedizione nuziale, a cui risponde Fiducia supplicans. Ma questo non è il suo argomento principale. Come spiega il testo sopra citato, la benedizione di una coppia è la benedizione delle relazioni che la compongono, e queste relazioni stesse nascono e sono sostenute da atti umani. Di conseguenza, se gli atti umani sono disordinati (cioè, come abbiamo detto, perdono di vista il vero bene e si attaccano a un bene apparente), se quindi sono peccati, la benedizione della coppia sarebbe automaticamente la benedizione di un male, indipendentemente dagli atti moralmente buoni compiuti altrove (come il sostegno reciproco). L’argomento del Responsum si applica quindi a qualsiasi benedizione venga impartita, sia essa rituale o meno, legata a un sacramento o meno, pubblica o privata, preparata o spontanea. È proprio per ciò che rende questa coppia una coppia che la loro benedizione è impossibile.

Ciò che emerge da questo confronto è l’estrema leggerezza con cui Fiducia supplicans si assume la responsabilità magisteriale, nonostante il tema fosse controverso e, contenendo una proposta “innovativa”, fosse richiesta una maggiore attenzione alle condizioni stabilite dal Concilio Vaticano II. In effetti, il testo accumula argomenti a favore di una maggiore sollecitudine pastorale nelle benedizioni, ma questa sollecitudine può benissimo essere soddisfatta da benedizioni su singoli individui, e nessuno degli argomenti forniti giustifica che queste benedizioni siano effettuate su coppie. Più sfortunatamente, il documento elude l’obiezione centrale del Responsum e diluisce i problemi sollevati dalla sua stessa proposta invece di costruire una base solida, mostrando con il ricorso alla Scrittura e alla Tradizione a) a quali condizioni sarebbe possibile benedire una realtà senza benedire il peccato ad essa collegato, b) come questa soluzione si armonizzerebbe con il Magistero precedente.

L’incoerenza e la mancanza di responsabilità del Magistero sono senza dubbio una causa di grande disturbo per il sensus fidei. In primo luogo, perché introducono incertezza sulle verità effettivamente insegnate dal Magistero ordinario. Più seriamente, minano la fiducia nell’assistenza divina del Magistero e nell’autorità del successore di Pietro, che appartengono al sacro deposito della Parola di Dio.

6. La cura pastorale in un’epoca di esautorazione gerarchica

Dio è la fonte di ogni benedizione e l’uomo può benedire in nome di Dio solo in modo ministeriale. Il potere di benedire concesso ad Aronne e ai suoi figli (Num 6,22-27), poi agli apostoli (Mt 10,12-13; Lc 10,5-6) e ai ministri ordinati è quindi una concessione accompagnata dall’obbligo di benedire nel Nome di Dio solo ciò che Dio può benedire. La storia della Chiesa ci ricorda che l’usurpazione del potere di benedire da parte dei sacerdoti si traduce in uno sfregio duraturo del volto di Dio agli occhi degli uomini. Questa gravità ci impone di essere prudenti nella cura pastorale delle benedizioni. Da questo punto di vista, la dichiarazione Fiducia supplicans ha posto sia il Magistero che i pastori in una situazione insostenibile, per tre motivi.

In primo luogo, sostenendo che le benedizioni per le coppie irregolari e dello stesso sesso sono possibili a condizione che non vi sia alcun rituale o liturgia, il documento promuove un approccio pastorale, rifiutandosi però di dare ai pastori qualsiasi indicazione sulle parole e sui gesti appropriati per significare le grazie dispensate dalla Chiesa[17]. Il Dicastero si è anche esplicitamente proibito di regolare gli eccessi, le eccedenze o gli errori che sono destinati a sorgere, soprattutto in questo settore molto delicato, con grande danno dei fedeli che queste benedizioni dovrebbero aiutare[18]. Questa rinuncia all’autorità ecclesiale è coerente con la soluzione promossa. Ma il fatto stesso che essa porti, in questa particolare materia, a sollevare il Romano Pontefice e con lui tutti i vescovi dalla responsabilità della santificazione dei fedeli (munus sanctificandi), alla quale sono comunque tenuti dalla costituzione divina della Chiesa, solleva degli interrogativi[19].

Non si tratta del margine di manovra lasciato ai pastori, ma dell’instaurazione di una “clandestinità istituzionalizzata” per un intero settore dell’attività ecclesiale.

In secondo luogo, il principio introdotto dalla Fiducia supplicans non ha limiti propri. Certo, la dichiarazione si riferisce in particolare alle “coppie in situazione irregolare e alle coppie dello stesso sesso”. Lasciamo a ciascuno immaginare la varietà di situazioni che rientrano in questo quadro, dalle più scellerate alle più oggettivamente scandalose, e che tuttavia potrebbero essere benedette, così come le coppie di buona volontà e quelle ferite dalla vita che cercano sinceramente l’aiuto divino. Infatti, rinunciando ai riti di benedizione, si rinuncia anche alla loro preparazione, durante la quale i pastori ne giudicano l’opportunità, ne discernono le intenzioni e aiutano a guidarli nella giusta direzione. Allo stesso modo, rendendo incontrollabile la pratica di queste benedizioni, accettiamo in anticipo tutti gli abusi che si verificheranno. Inoltre, il titolo della dichiarazione (“sul significato pastorale delle benedizioni”) e il suo contenuto aprono la strada a un’applicazione molto più ampia, poiché non c’è motivo di limitarla alle coppie.

Infatti, seguendo il principio che sta alla base del documento, diventerebbe possibile benedire qualsiasi situazione oggettiva di peccato in quanto tale o qualsiasi situazione oggettivamente determinata dal peccato in quanto tale, anche la più contraria al Vangelo e la più abominevole agli occhi di Dio. Tutto potrebbe essere benedetto… purché non ci siano riti o liturgie.

In terzo luogo, quando i superiori scaricano le responsabilità sugli inferiori, questi ultimi sono lasciati a portare l’intero carico. In questo caso, Fiducia supplicans invita i pastori a una maggiore sollecitudine pastorale, e le indicazioni che il testo fornisce sono preziose per loro. Da questo punto di vista, il Magistero aiuta i ministri ordinati a esercitare il loro ufficio. D’altra parte, istituzionalizzando la clandestinità nei casi più spinosi, darà luogo a nuove richieste di benedizioni, lasciando gli stessi ministri completamente indifesi. D’ora in poi, i sacerdoti non potranno più contare sul supporto delle norme liturgiche ed episcopali per decidere cosa devono o possono fare. Di fronte a pressioni o ricatti, non potranno più nascondersi dietro l’autorità della Chiesa e rispondere: “Non è possibile, la Chiesa non lo permette”. Non potranno più fare affidamento su criteri ben ponderati per giudicare l’opportunità o la direzione da prendere. In ogni caso difficile, dovranno portare sulla propria coscienza il peso della decisione che sono stati costretti a prendere da soli, chiedendosi se sono stati servi fedeli o corruttori del volto di Dio agli occhi degli uomini.

Questo triplice abbandono non può che essere dolorosamente avvertito dal sensus fidei, dai pastori e dai fedeli, come l’impressione che il gregge sia stato lasciato a se stesso, senza guida.

Tale carenza è certamente controbilanciata dall’incoraggiamento a una maggiore carità, a prendersi cura dei più deboli, ad accogliere i più bisognosi dell’aiuto divino. Ma era necessario opporre e sacrificare l’una all’altra? Non dovevano forse sostenersi a vicenda?

Fiducia supplicans ormai è un fatto. Anche risalendo a diversi secoli fa, questo documento non ha equivalenti. I problemi tra il popolo di Dio sono arrivati e non possono essere cancellati.

Ora dobbiamo lavorare per riparare i danni e per garantire che le cause, comprese quelle che abbiamo identificato, siano affrontate prima che l’esplosione si diffonda. Questo sarà possibile solo rimanendo uniti attorno al Santo Padre e pregando per l’unità della Chiesa.


[1] Dichiarazione Fiducia supplicans sul significato pastorale delle benedizioni, del Dicastero per la Dottrina della Fede, approvata il 18 dicembre 2023 [di seguito FS]. Utilizziamo altre due abbreviazioni: [CCC] per Catechismo della Chiesa Cattolica; [CIC] per Codice di Diritto Canonico.

[2] Cfr. Vaticano II, Lumen gentium, n. 12.

[3] Cfr. Vaticano II, Lumen gentium, n. 8: la Chiesa è una comunità costituita da Cristo e da Lui sostenuta, “un’unica realtà complessa che riunisce un elemento umano e un elemento divino” per portare la salvezza.

[4] Cfr. Vaticano II, Sacrosanctum concilium, n. 60; n. 7.

[5]  La Didachè ne è una notevole testimonianza. Più in generale, studiando le preghiere eucaristiche più antiche, Louis Bouyer ha mostrato che tutte hanno la forma di benedizioni, ispirate al modello ereditato dal giudaismo (cfr. L. Bouyer, Eucharistie, Paris, 1990). Allo stesso modo, le prime difese delle benedizioni ecclesiastiche le presentano come liturgiche. Cfr. Sant’Ambrogio, De patr, II, 7 (CSEL 32,2, p. 128): “benedictio [est] sanctificationis et gratiarum votiva conlatio”. Sant’Agostino, Ep. 179, 4. Sinodi dei Concili di Cartagine e Milev del 416 (cfr. Agostino, Ep. 175 e 176).

[6] C’è qui un parallelo tra i sacramenti e le benedizioni: la Chiesa ha solo il potere di regolare la disciplina dei sacramenti che Cristo ha istituito; allo stesso modo, la Chiesa, essendo costituita da Cristo, ha solo il potere di regolare la disciplina delle benedizioni che dà come estensione di questa costituzione. Oggi le benedizioni sono comunemente collocate nella categoria dei “sacramentali”, e questo la dice lunga sulla loro vicinanza ai sacramenti.

[7] Cfr. Vaticano II, Presbyterorum ordinis, n. 2.

[8] Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, n. 104.

[9] Vaticano II, Dei verbum, n. 5.

[10] Vaticano II, Dei verbum, n. 10.

[11] Una terza categoria è stata aggiunta da Giovanni Paolo II, Ad tuendam fidem (1998), ma qui non entra in gioco.

[12] Cfr. Concilio Vaticano I, De fide cath., c. 3, ripreso da Concilio Vaticano II, Dei verbum, n. 5.

[13] Vaticano II, Lumen gentium, n. 25 §1.

[14] «Presentazione» di Fiducia supplicans. Si potrebbe obiettare che, proponendo solo un “contributo”, in un ambito definito “pastorale”, questo testo non pretende di impegnarsi nelle verità della fede. Oppure che, nonostante le apparenze, non sono state soddisfatte le condizioni del Magistero ordinario (cfr. CIC 750). Se così fosse, il testo non apparterrebbe al Magistero e potrebbe essere ignorato. Resta comunque il fatto che la reazione del sensus fidei mostra che esso tocca, almeno indirettamente, verità di fede e di morale.

[15] Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede del 22 febbraio 2021.

[16] È anche investito di un grado più elevato di autorità, ma ciò non ha alcuna conseguenza poiché è destinato a integrare e non a sostituire il Responsum.

[17] FS, n. 38-40, fornisce alcuni punti di riferimento, solo a titolo orientativo e in termini molto generali.

[18] FS, n. 41: “Quanto detto in questa Dichiarazione sulla benedizione delle coppie dello stesso sesso è sufficiente a guidare il prudente e paterno discernimento dei ministri ordinati a questo riguardo. Oltre alle indicazioni di cui sopra, quindi, non si attendono ulteriori risposte su eventuali disposizioni che regolino i dettagli o le modalità pratiche di questo tipo di benedizioni”.

[19] 19.Cfr. Vaticano II, Lumen gentium, n. 26; Christus dominus, n. 15.

Fiducia supplicans e il senso della fede

Fr. Emmanuel Perrier, o.p.

La dichiarazione “Fiducia supplicans” del 18 dicembre 2023 ha suscitato molto scalpore. In questo primo articolo ne esponiamo le ragioni principali.

Come figli della Chiesa fondata sugli apostoli, non possiamo che essere allarmati per lo scompiglio nel popolo cristiano causato da un testo proveniente dall’entourage del Santo Padre[1]. È insopportabile vedere i fedeli di Cristo perdere fiducia nella parola del pastore universale, vedere i sacerdoti divisi tra il loro attaccamento filiale e le conseguenze pratiche che questo testo li costringerà ad affrontare, vedere i vescovi divisi. Questo fenomeno di vasta portata a cui stiamo assistendo è indicativo di una reazione propria del sensus fidei. Il “senso della fede (sensus fidei)” è l’attaccamento del popolo cristiano alle verità di fede e di morale[2]. Questo attaccamento comune, “universale” e “indefettibile” deriva dal fatto che ogni credente è mosso dall’unico Spirito di Dio ad abbracciare le stesse verità. Ecco perché, quando le affermazioni sulla fede e sulla morale offendono il sensus fidei, c’è un istintivo moto di diffidenza che si manifesta collettivamente. È necessario, tuttavia, esaminare la legittimità di questa sfida e le ragioni che la giustificano. In questa sede ci limiteremo alle sei ragioni che ci sembrano più salienti.

1. Non c’è benedizione che non sia ordinata alla salvezza.

Infatti, “la benedizione è un’azione divina che dà vita e la cui fonte è il Padre. La sua benedizione è insieme parola e dono” (CCC 1078). Questa origine divina indica anche il suo fine, espresso con forza da San Paolo: Benedetto sia il Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che ci ha benedetti con ogni benedizione spirituale nei cieli per mezzo di Cristo. Così ci ha scelti in lui fin da prima della fondazione del mondo per essere santi e irreprensibili al suo cospetto nell’amore (Ef 1,3).

Ricordando l’origine e il fine di ogni benedizione, diventa chiaro quale grazia chiediamo quando benediciamo: deve portare la vita divina per essere “santi e irreprensibili alla sua presenza”. La benedizione, dunque, è solo per la santificazione e la liberazione dal peccato, e serve quindi a lodare Colui che ha fatto tutte le cose (Ef 1,12).

È impossibile per la Chiesa allontanarsi da questo ordine divino di benedire per la salvezza. Qualsiasi proposta di benedire senza che questa benedizione sia esplicitamente ordinata ad essere “santa e immacolata”, anche per motivi altrimenti lodevoli, offende quindi immediatamente il sensus fidei.

2. La Chiesa non conosce altro modo di benedire se non in una liturgia.

Tutti sono chiamati a benedire Dio e a invocare le sue benedizioni. La Chiesa fa lo stesso e intercede per i suoi figli. Ma tra il singolo credente e la Chiesa, il soggetto che agisce non è della stessa natura, e questa differenza ha conseguenze importanti quando consideriamo l’azione della benedizione. Alla radice, le benedizioni ecclesiali – e con questo intendiamo le benedizioni della Chiesa stessa – emanano dall’unità misteriosa e indefettibile che costituisce il suo stesso essere[3].

Da questa unità che la lega al suo Sposo Gesù Cristo, deriva che le suppliche che essa rivolge sono sempre gradite a Dio; sono come le suppliche di Cristo stesso a suo Padre. Per questo, fin dall’inizio, la Chiesa non ha mai smesso di benedire, con la certezza di ottenere molti effetti spirituali di santificazione e liberazione dal peccato[4].

La benedizione è dunque un’attività vitale della Chiesa. Potremmo parlare dell’attività vitale del suo cuore: esso è fatto per assicurare la circolazione delle benedizioni, da Dio all’uomo e dall’uomo a Dio (cfr. Ef 1,3), secondo una sistole che diffonde le benedizioni divine e una diastole che accoglie le suppliche umane. Il risultato è che le benedizioni ecclesiali sono di per sé un’opera sacra. Si potrebbe addirittura dire che esse costituiscono l’essenza della liturgia cristiana, come testimoniano le fonti storiche[5].

Per la Chiesa, benedire secondo una qualche forma liturgica non è un’opzione; non può fare altrimenti per quello che è, per l’attività vitale del cuore ecclesiale. Ciò che ha il potere di fare, tuttavia, è stabilire le modalità e le condizioni delle benedizioni, il loro rituale, come avviene per i sacramenti[6].

Una benedizione non è dunque liturgica perché è stato istituito un rito, come se “liturgia” significasse “ufficiale”, o “obbligatorio”, o “istituzionale”, o “pubblico”, o “grado di solennità”; o come se “liturgia” fosse un’etichetta apposta dall’esterno a un’attività ecclesiale.

Una benedizione è liturgica quando è ecclesiale, perché coinvolge il mistero della Chiesa nel suo essere e nel suo agire. È qui che entra in gioco il sacerdote[7]. Quando i fedeli si rivolgono al sacerdote per chiedere la benedizione della Chiesa e il sacerdote li benedice in nome della Chiesa, egli agisce nella persona della Chiesa. Ecco perché questa benedizione non può che essere liturgica, perché è l’intercessione della Chiesa a fornire questo sostegno e non l’intercessione di un singolo fedele.

Non sorprende quindi che il sensus fidei sia disturbato quando si insegna che un sacerdote, richiesto come ministro di Cristo, potrebbe benedire senza che questa benedizione sia un’azione sacra della Chiesa, semplicemente perché non è stato stabilito un rituale. Ciò equivale a dire che la Chiesa non agisce sempre come la Sposa di Cristo, oppure che non presume sempre di agire come la Sposa di Cristo.

3. Ogni benedizione ha uno scopo morale

Una benedizione si applica a persone o cose a cui Dio concede liberamente un beneficio. Il dono concesso da una benedizione soddisfa quindi tre serie di condizioni. – Da parte di Dio, il dono è l’effetto della liberalità divina; ha sempre la sua fonte nella misericordia divina in vista della salvezza. Per questo Dio benedice in base a ciò che ha disposto come via di salvezza, Gesù Cristo Verbo incarnato, morto e risorto per redimerci, ma anche in base a ciò che è utile alla salvezza. Ne consegue, da un lato, che il dono non può essere contrario all’ordine creato, in particolare alla differenza primordiale tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre (cfr. 1Gv 1,5), tra la perfezione e la privazione della perfezione (cfr. Mt 5,48).

Né il dono divino può essere contrario all’ordine della grazia, soprattutto in quanto ci rende giusti davanti a Dio (cfr. Rm 5,1ss.). D’altra parte, Dio dà secondo ciò che ritiene opportuno dare a ciascuno al momento opportuno. Dio vede più lontano di noi e vuole dare più di quanto ci aspettiamo. Per questo, tra l’altro, permette tribolazioni, prove e sofferenze (cfr. 1 Pt 1,3ss; 4,1ss) per potare ciò che è morto e far fruttificare ciò che è vivo (Gv 15,2).

Da parte del destinatario, il dono di una benedizione non presuppone che egli sia già perfetto, il che renderebbe il dono inutile, ma presuppone che egli abbia la fede e l’umiltà di riconoscere la propria imperfezione davanti a Dio. Inoltre, affinché il dono produca il suo effetto, il cuore deve essere disposto alla conversione e al pentimento. La benedizione non è per la stagnazione morale, ma per il progresso verso la vita eterna e l’allontanamento dal peccato.

Infine, dal lato della benedizione stessa, c’è un ordine: le benedizioni temporali sono in vista dei beni spirituali; le virtù naturali sono sostenute e ordinate dalle virtù teologali; i beni per se stessi sono in vista dell’amore per Dio e per il prossimo; la liberazione dai mali corporei è in vista delle libertà spirituali; la forza per superare i dolori è in vista della forza per respingere le colpe.

Tutto ciò dimostra che le benedizioni hanno sempre uno scopo morale, nel senso che la morale è il modo umano di agire per il bene e allontanarsi dal male: Dio dà i suoi doni affinché l’uomo possa praticare la giustizia obbedendo ai comandamenti e avanzare sulla via della santità sull’esempio di Cristo; l’uomo riceve questi doni come agente razionale che riceve l’aiuto della grazia per diventare buono; i doni sono benefici per la crescita spirituale.

È quindi comprensibile che il sensus fidei sia disturbato quando le benedizioni sono presentate in modo tale da confondere il loro significato morale. Infatti, l’istinto di fede non è legato solo alle verità rivelate, ma si estende alla messa in pratica di queste verità in conformità con la morale del Vangelo e della Legge divina (cfr. ad es. Giacomo 2,14ss.). Per questo motivo il sensus fidei è restio a vedere neutralizzata o distorta la bussola morale delle benedizioni.

Questo accade quando una condizione della benedizione viene enfatizzata a scapito delle altre. Ad esempio, la misericordia di Dio e il suo amore incondizionato per il peccatore non impediscono la finalità di questa misericordia e di questo amore incondizionato, e non annullano le condizioni del beneficiario o l’ordine dei benefici.

Allo stesso modo, quando si parla degli effetti piacevoli (conforto, forza, tenerezza) si tace sugli effetti spiacevoli, anche se sono le vie necessarie alla liberazione (conversione, rifiuto del peccato, lotta contro i vizi, guerra spirituale).

Infine, quando ci limitiamo a termini generali (carità, vita) senza indicare le conseguenze concrete che sono la ragione stessa di una particolare benedizione.

4. Dio non benedice il male, a differenza dell’uomo

È necessario ricordare che, dalle prime parole della Sacra Scrittura fino alle ultime, la Rivelazione afferma la bontà di Dio e delle sue opere? Dio non solo è vivo, ma è la Vita (Gv 14,6). Dio non è solo buono, è buono per essenza (cfr. Lc 18,19). Per questo “non c’è aspetto del messaggio cristiano che non sia in parte una risposta alla domanda sul male” (CCC, 309), non solo perché l’uomo si pone questa domanda, ma prima di tutto perché Dio è Dio.

A differenza di Dio, l’uomo è diviso di fronte al male. Fin dalla caduta originale, ci siamo allontanati dal bene divino a favore di altri fini. La Sacra Scrittura chiama questo modo di smarrirsi, di perdere di vista il vero bene per puntare a un bene apparente, come una freccia che manca il bersaglio, peccato. Il peccato è imputabile all’uomo a causa della sua colpa. E nella sua colpa, l’uomo si impegna nel male.

Questa è la differenza tra Dio e l’uomo: Dio non benedice mai il male, ma benedice sempre per liberarci dal male (una delle petizioni del Padre nostro, cfr. Mt 6,13), affinché siamo perdonati per i nostri peccati e smettiamo di commettere il male, affinché non siamo schiacciati dai nostri peccati ma riscattati da essi. Da parte sua, la tendenza dell’uomo peccatore è certamente quella di rifiutarsi di benedire il male, ma solo fino a un certo punto, cioè finché non prevale il suo compromesso con il male. Arrivato a questo punto, preferisce “compromettere o distorcere la misura del bene e del male per adattarla alle circostanze”, “fa della sua debolezza il criterio di verità sul bene, per sentirsi giustificato solo da essa”[8]. In altre parole, la caratteristica delle benedizioni umane è quella di manomettere regolarmente il termometro morale per accomodare un disordine rispetto al vero bene.

Giovanni Paolo II ha presentato la parabola del fariseo e del pubblicano (cfr. Lc 18,9-14) come un’illustrazione sempre attuale di questa tentazione: il fariseo benedice Dio ma non ha nulla da chiedergli se non di conservarlo così com’è; il pubblicano confessa il suo peccato e implora da Dio una benedizione di giustificazione. Il primo ha manomesso il termometro, il secondo si cura fidandosi del termometro.

L’impressione che il termometro morale venga manomesso per benedire atti disordinati non può che rendere sospettoso il sensus fidei. Certo, questo sospetto deve essere depurato da qualsiasi proiezione in una morale ideale o in una rigidità morale valida solo per gli altri. Ma resta il fatto che il sensus fidei colpisce nel segno quando esprime allarme per il fatto che si possa dire che Dio benedice il male. Quale peccatore non si scandalizzerebbe se una voce autorevole gli dicesse che, alla fine, la misericordia di Dio benedice senza liberare, e che d’ora in poi sarà accompagnato nella sua miseria ma anche abbandonato alla sua miseria?

5. Magistero: l’innovazione implica responsabilità

“A Dio che rivela dobbiamo portare l’obbedienza della fede”[9]. In concreto, poiché l’intelletto conosce per mezzo di proposizioni, l’obbedienza della fede è un assenso volontario a proposizioni vere. Per esempio, per fede riteniamo vera la proposizione: “Dio Padre Onnipotente è il creatore del cielo e della terra”. Tutte le verità a cui la fede è legata si trovano nell’”unico sacro deposito della parola di Dio”, costituito dalla Sacra Tradizione e dalla Sacra Scrittura. Questo sacro deposito ha un unico autentico interprete, il Magistero. Il Magistero “non è al di sopra della parola di Dio scritta o trasmessa”. Ha la responsabilità, con l’assistenza dello Spirito Santo, “di ascoltare con pietà, di santificare e di esporre fedelmente” la Parola di Dio quando insegna le verità in essa contenute[10]. L’insegnamento del Magistero si divide in due categorie[11]. Il Magistero cosiddetto “solenne” è un insegnamento privo di possibili errori. Le verità insegnate in modo solenne richiedono l’obbedienza della fede in un “omaggio completo dell’intelligenza e della volontà”[12]: è il caso di tutto ciò che è stato appena detto a proposito del sacro deposito della Parola di Dio e della funzione e responsabilità del Magistero. D’altra parte, il Magistero cosiddetto “ordinario” è un insegnamento assistito dallo Spirito Santo, e come tale deve essere accolto con un “religioso omaggio dell’intelligenza e della volontà”[13], anche se è infallibile solo se è universale.

Questi richiami sono importanti quando un testo, che ha tutta l’apparenza di un testo del Magistero cosiddetto “ordinario”, intende insegnare una proposta descritta come un “contributo specifico e innovativo” che comporta un “reale sviluppo”[14]. In questo caso, la proposta è la seguente:

“È possibile benedire le coppie in situazione irregolare e le coppie dello stesso sesso, in una forma che non deve essere fissata ritualmente dalle autorità ecclesiali, per non creare confusione con la benedizione propria del sacramento del matrimonio” (FS, n. 31).

Quanto alla conclusione, essa contraddice un Responsum dello stesso Dicastero, emanato tre anni prima, la cui proposizione principale è la seguente:

“Non è lecito dare la benedizione a relazioni o unioni, anche stabili, che comportino pratiche sessuali al di fuori del matrimonio. La presenza in queste relazioni di elementi positivi [non è sufficiente…] poiché questi elementi sono al servizio di un’unione non ordinata al disegno del Creatore”[15].

Ci troviamo quindi di fronte a due proposizioni, che pretendono entrambe di essere vere in quanto emanate dall’ “unico interprete autentico” del deposito rivelato, ma che allo stesso tempo sono contraddittorie. Per uscire da questa contraddizione, dobbiamo rivolgerci alle ragioni addotte in ciascuno dei testi.

La dichiarazione Fiducia supplicans ha il privilegio di essere più recente[16]. Nelle sue motivazioni, essa afferma di non contraddire il precedente Responsum: le due proposizioni sarebbero vere, ciascuna sotto un aspetto diverso, in modo da essere complementari. La benedizione delle coppie omosessuali a) sarebbe infatti illecita se avvenisse liturgicamente in una forma ritualmente fissata (la soluzione del Responsum), ma b) diventerebbe possibile se avvenisse senza rito liturgico e “evitando che diventi un atto liturgico o semiliturgico simile a un sacramento” (FS, n. 36).

Leggendo ora il Responsum, vediamo che, nonostante i chiarimenti forniti, la contraddizione rimane. Certo, si corre il pericolo di una confusione con la benedizione nuziale, a cui risponde Fiducia supplicans. Ma questo non è il suo argomento principale. Come spiega il testo sopra citato, la benedizione di una coppia è la benedizione delle relazioni che la compongono, e queste relazioni stesse nascono e sono sostenute da atti umani. Di conseguenza, se gli atti umani sono disordinati (cioè, come abbiamo detto, perdono di vista il vero bene e si attaccano a un bene apparente), se quindi sono peccati, la benedizione della coppia sarebbe automaticamente la benedizione di un male, indipendentemente dagli atti moralmente buoni compiuti altrove (come il sostegno reciproco). L’argomento del Responsum si applica quindi a qualsiasi benedizione venga impartita, sia essa rituale o meno, legata a un sacramento o meno, pubblica o privata, preparata o spontanea. È proprio per ciò che rende questa coppia una coppia che la loro benedizione è impossibile.

Ciò che emerge da questo confronto è l’estrema leggerezza con cui Fiducia supplicans si assume la responsabilità magisteriale, nonostante il tema fosse controverso e, contenendo una proposta “innovativa”, fosse richiesta una maggiore attenzione alle condizioni stabilite dal Concilio Vaticano II. In effetti, il testo accumula argomenti a favore di una maggiore sollecitudine pastorale nelle benedizioni, ma questa sollecitudine può benissimo essere soddisfatta da benedizioni su singoli individui, e nessuno degli argomenti forniti giustifica che queste benedizioni siano effettuate su coppie. Più sfortunatamente, il documento elude l’obiezione centrale del Responsum e diluisce i problemi sollevati dalla sua stessa proposta invece di costruire una base solida, mostrando con il ricorso alla Scrittura e alla Tradizione a) a quali condizioni sarebbe possibile benedire una realtà senza benedire il peccato ad essa collegato, b) come questa soluzione si armonizzerebbe con il Magistero precedente.

L’incoerenza e la mancanza di responsabilità del Magistero sono senza dubbio una causa di grande disturbo per il sensus fidei. In primo luogo, perché introducono incertezza sulle verità effettivamente insegnate dal Magistero ordinario. Più seriamente, minano la fiducia nell’assistenza divina del Magistero e nell’autorità del successore di Pietro, che appartengono al sacro deposito della Parola di Dio.

6. La cura pastorale in un’epoca di esautorazione gerarchica

Dio è la fonte di ogni benedizione e l’uomo può benedire in nome di Dio solo in modo ministeriale. Il potere di benedire concesso ad Aronne e ai suoi figli (Num 6,22-27), poi agli apostoli (Mt 10,12-13; Lc 10,5-6) e ai ministri ordinati è quindi una concessione accompagnata dall’obbligo di benedire nel Nome di Dio solo ciò che Dio può benedire. La storia della Chiesa ci ricorda che l’usurpazione del potere di benedire da parte dei sacerdoti si traduce in uno sfregio duraturo del volto di Dio agli occhi degli uomini. Questa gravità ci impone di essere prudenti nella cura pastorale delle benedizioni. Da questo punto di vista, la dichiarazione Fiducia supplicans ha posto sia il Magistero che i pastori in una situazione insostenibile, per tre motivi.

In primo luogo, sostenendo che le benedizioni per le coppie irregolari e dello stesso sesso sono possibili a condizione che non vi sia alcun rituale o liturgia, il documento promuove un approccio pastorale, rifiutandosi però di dare ai pastori qualsiasi indicazione sulle parole e sui gesti appropriati per significare le grazie dispensate dalla Chiesa[17]. Il Dicastero si è anche esplicitamente proibito di regolare gli eccessi, le eccedenze o gli errori che sono destinati a sorgere, soprattutto in questo settore molto delicato, con grande danno dei fedeli che queste benedizioni dovrebbero aiutare[18]. Questa rinuncia all’autorità ecclesiale è coerente con la soluzione promossa. Ma il fatto stesso che essa porti, in questa particolare materia, a sollevare il Romano Pontefice e con lui tutti i vescovi dalla responsabilità della santificazione dei fedeli (munus sanctificandi), alla quale sono comunque tenuti dalla costituzione divina della Chiesa, solleva degli interrogativi[19].

Non si tratta del margine di manovra lasciato ai pastori, ma dell’instaurazione di una “clandestinità istituzionalizzata” per un intero settore dell’attività ecclesiale.

In secondo luogo, il principio introdotto dalla Fiducia supplicans non ha limiti propri. Certo, la dichiarazione si riferisce in particolare alle “coppie in situazione irregolare e alle coppie dello stesso sesso”. Lasciamo a ciascuno immaginare la varietà di situazioni che rientrano in questo quadro, dalle più scellerate alle più oggettivamente scandalose, e che tuttavia potrebbero essere benedette, così come le coppie di buona volontà e quelle ferite dalla vita che cercano sinceramente l’aiuto divino. Infatti, rinunciando ai riti di benedizione, si rinuncia anche alla loro preparazione, durante la quale i pastori ne giudicano l’opportunità, ne discernono le intenzioni e aiutano a guidarli nella giusta direzione. Allo stesso modo, rendendo incontrollabile la pratica di queste benedizioni, accettiamo in anticipo tutti gli abusi che si verificheranno. Inoltre, il titolo della dichiarazione (“sul significato pastorale delle benedizioni”) e il suo contenuto aprono la strada a un’applicazione molto più ampia, poiché non c’è motivo di limitarla alle coppie.

Infatti, seguendo il principio che sta alla base del documento, diventerebbe possibile benedire qualsiasi situazione oggettiva di peccato in quanto tale o qualsiasi situazione oggettivamente determinata dal peccato in quanto tale, anche la più contraria al Vangelo e la più abominevole agli occhi di Dio. Tutto potrebbe essere benedetto… purché non ci siano riti o liturgie.

In terzo luogo, quando i superiori scaricano le responsabilità sugli inferiori, questi ultimi sono lasciati a portare l’intero carico. In questo caso, Fiducia supplicans invita i pastori a una maggiore sollecitudine pastorale, e le indicazioni che il testo fornisce sono preziose per loro. Da questo punto di vista, il Magistero aiuta i ministri ordinati a esercitare il loro ufficio. D’altra parte, istituzionalizzando la clandestinità nei casi più spinosi, darà luogo a nuove richieste di benedizioni, lasciando gli stessi ministri completamente indifesi. D’ora in poi, i sacerdoti non potranno più contare sul supporto delle norme liturgiche ed episcopali per decidere cosa devono o possono fare. Di fronte a pressioni o ricatti, non potranno più nascondersi dietro l’autorità della Chiesa e rispondere: “Non è possibile, la Chiesa non lo permette”. Non potranno più fare affidamento su criteri ben ponderati per giudicare l’opportunità o la direzione da prendere. In ogni caso difficile, dovranno portare sulla propria coscienza il peso della decisione che sono stati costretti a prendere da soli, chiedendosi se sono stati servi fedeli o corruttori del volto di Dio agli occhi degli uomini.

Questo triplice abbandono non può che essere dolorosamente avvertito dal sensus fidei, dai pastori e dai fedeli, come l’impressione che il gregge sia stato lasciato a se stesso, senza guida.

Tale carenza è certamente controbilanciata dall’incoraggiamento a una maggiore carità, a prendersi cura dei più deboli, ad accogliere i più bisognosi dell’aiuto divino. Ma era necessario opporre e sacrificare l’una all’altra? Non dovevano forse sostenersi a vicenda?

Fiducia supplicans ormai è un fatto. Anche risalendo a diversi secoli fa, questo documento non ha equivalenti. I problemi tra il popolo di Dio sono arrivati e non possono essere cancellati.

Ora dobbiamo lavorare per riparare i danni e per garantire che le cause, comprese quelle che abbiamo identificato, siano affrontate prima che l’esplosione si diffonda. Questo sarà possibile solo rimanendo uniti attorno al Santo Padre e pregando per l’unità della Chiesa.


[1] Dichiarazione Fiducia supplicans sul significato pastorale delle benedizioni, del Dicastero per la Dottrina della Fede, approvata il 18 dicembre 2023 [di seguito FS]. Utilizziamo altre due abbreviazioni: [CCC] per Catechismo della Chiesa Cattolica; [CIC] per Codice di Diritto Canonico.

[2] Cfr. Vaticano II, Lumen gentium, n. 12.

[3] Cfr. Vaticano II, Lumen gentium, n. 8: la Chiesa è una comunità costituita da Cristo e da Lui sostenuta, “un’unica realtà complessa che riunisce un elemento umano e un elemento divino” per portare la salvezza.

[4] Cfr. Vaticano II, Sacrosanctum concilium, n. 60; n. 7.

[5]  La Didachè ne è una notevole testimonianza. Più in generale, studiando le preghiere eucaristiche più antiche, Louis Bouyer ha mostrato che tutte hanno la forma di benedizioni, ispirate al modello ereditato dal giudaismo (cfr. L. Bouyer, Eucharistie, Paris, 1990). Allo stesso modo, le prime difese delle benedizioni ecclesiastiche le presentano come liturgiche. Cfr. Sant’Ambrogio, De patr, II, 7 (CSEL 32,2, p. 128): “benedictio [est] sanctificationis et gratiarum votiva conlatio”. Sant’Agostino, Ep. 179, 4. Sinodi dei Concili di Cartagine e Milev del 416 (cfr. Agostino, Ep. 175 e 176).

[6] C’è qui un parallelo tra i sacramenti e le benedizioni: la Chiesa ha solo il potere di regolare la disciplina dei sacramenti che Cristo ha istituito; allo stesso modo, la Chiesa, essendo costituita da Cristo, ha solo il potere di regolare la disciplina delle benedizioni che dà come estensione di questa costituzione. Oggi le benedizioni sono comunemente collocate nella categoria dei “sacramentali”, e questo la dice lunga sulla loro vicinanza ai sacramenti.

[7] Cfr. Vaticano II, Presbyterorum ordinis, n. 2.

[8] Giovanni Paolo II, Veritatis splendor, n. 104.

[9] Vaticano II, Dei verbum, n. 5.

[10] Vaticano II, Dei verbum, n. 10.

[11] Una terza categoria è stata aggiunta da Giovanni Paolo II, Ad tuendam fidem (1998), ma qui non entra in gioco.

[12] Cfr. Concilio Vaticano I, De fide cath., c. 3, ripreso da Concilio Vaticano II, Dei verbum, n. 5.

[13] Vaticano II, Lumen gentium, n. 25 §1.

[14] «Presentazione» di Fiducia supplicans. Si potrebbe obiettare che, proponendo solo un “contributo”, in un ambito definito “pastorale”, questo testo non pretende di impegnarsi nelle verità della fede. Oppure che, nonostante le apparenze, non sono state soddisfatte le condizioni del Magistero ordinario (cfr. CIC 750). Se così fosse, il testo non apparterrebbe al Magistero e potrebbe essere ignorato. Resta comunque il fatto che la reazione del sensus fidei mostra che esso tocca, almeno indirettamente, verità di fede e di morale.

[15] Responsum della Congregazione per la Dottrina della Fede del 22 febbraio 2021.

[16] È anche investito di un grado più elevato di autorità, ma ciò non ha alcuna conseguenza poiché è destinato a integrare e non a sostituire il Responsum.

[17] FS, n. 38-40, fornisce alcuni punti di riferimento, solo a titolo orientativo e in termini molto generali.

[18] FS, n. 41: “Quanto detto in questa Dichiarazione sulla benedizione delle coppie dello stesso sesso è sufficiente a guidare il prudente e paterno discernimento dei ministri ordinati a questo riguardo. Oltre alle indicazioni di cui sopra, quindi, non si attendono ulteriori risposte su eventuali disposizioni che regolino i dettagli o le modalità pratiche di questo tipo di benedizioni”.

[19] 19.Cfr. Vaticano II, Lumen gentium, n. 26; Christus dominus, n. 15.


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