Gesù è un personaggio storico? (2/3)

Gesù è un personaggio storico? (2/3)

Lo stato della ricerca scientifica sulla storicità dei Vangeli: uno sguardo d’insieme

Di P. Alban Cras, FSSP*.

I Vangeli appartengono a un genere letterario che non è quello dell’astrazione poetica o della meditazione metafisica. Raccontano una storia. E questa storia è situata, sia nello spazio che nel tempo.

La ricerca della figura storica di Gesù

È quindi possibile verificare se questo contesto storico è compatibile con quanto sappiamo dalle fonti extrabibliche. Possiamo vedere, ad esempio, che 28 persone citate nel Nuovo Testamento sono attestate al di fuori di esso (tra cui tre imperatori: Augusto, Tiberio e Claudio).

Nel corso del XX secolo sono stati compiuti molti sforzi per separare la figura storica di Gesù dall’interpretazione teologica presentata dai Vangeli. Sono stati definiti dei criteri di autenticità per aiutare a distinguere lo storico dal teologico, in particolare in relazione alle parole di Gesù[1]. Questo sforzo è stato compiuto dal Jesus Seminar negli Stati Uniti e, con spirito diverso, dal gesuita John P. Meier nella sua imponente opera intitolata Gesù, un ebreo marginale[2]. Meier ci ha ricordato che dobbiamo distinguere tra “reale” e “storico”: possiamo affermare “alcune” verità su un personaggio storico, ma non possiamo mai dire “la” verità su una persona reale, che solo Dio conosce. A maggior ragione nel caso di Gesù, la cui intera esistenza è stata una “vita nascosta”…

Lo stato della ricerca

Dopo decenni di scetticismo, si può dire che, nel complesso, dalla fine del XX secolo la ricerca accademica – basata sulla critica letteraria, sulla storia e sull’archeologia – ha riconosciuto molti elementi favorevoli alla storicità dei Vangeli.

Tra i tanti, più o meno scientifici, possiamo citare come difensore dell’autenticità un accademico di grande fama, Richard Bauckham, e il suo libro decisivo: Jesus and the Eyewitnesses[3]. Oppure Craig Blomberg: The Historical Reliability of the New Testament, del 2016 (816 pagine)[4]. Allo stesso modo, l’impressionante studioso Craig Keener: Christobiography: Memory, History, and the Reliability of the Gospels, nel 2019 (740 pagine). Keener sottolinea giustamente che i Vangeli non sono stati scritti né troppo presto né troppo tardi: troppo tardi avrebbe portato a vuoti di memoria, troppo presto avrebbe significato che non c’era abbastanza senno di poi per capire cosa fosse più importante nella vita e nell’insegnamento di Gesù. Egli compie uno studio meticoloso del genere letterario della biografia antica e conclude che i Vangeli sono legati ad esso, ma con una preoccupazione teologica originale, creando il concetto di Cristobiografia. Vanno quindi letti con la stessa credibilità degli scritti antichi: c’è “un nucleo storico significativo”[5].

Va ricordato che nell’antichità la memorizzazione era molto più sviluppata di oggi e che la memoria poteva rimanere fedele anche dopo molti anni. Era normale che i giovani discepoli, come gli apostoli, memorizzassero l’insegnamento del maestro. Era addirittura la base di tutta l’istruzione.

Tuttavia, i Vangeli non sono resoconti fattuali precisi o biografie scientifiche secondo gli standard odierni. Le biografie antiche erano quadri abbastanza flessibili, che consentivano adattamenti e variazioni, come troviamo, ad esempio, nei vari resoconti della risurrezione di Gesù.

Ma ci si aspettava la verità storica, da cui generalmente si traeva una lezione morale. La preoccupazione principale degli evangelisti era teologica piuttosto che strettamente storica.

Il libro di Bruno Bioul del 2018 è uno dei tanti esempi: Les Évangiles à l’épreuve de l’histoire[6]; e la traduzione del 2020 di un libro di un importante critico testuale inglese: Peter Williams, Les Évangiles sont-ils fiables?[7]. La risposta è un sì qualificato.

Testimoni credibili

Possiamo anche citare un biblista, Brant Pitre, autore di un piccolo libro apologetico molto convincente[8]. Egli confuta uno dei principali argomenti dei negazionisti (soprattutto Bart Ehrman): l’idea diffusa che i Vangeli siano documenti anonimi, frutto tardivo di un fenomeno di “telefono arabo”. Ma l’analogia è insensata. Il gioco infantile del telefono arabo è concepito per favorire la distorsione: la frase da trasmettere viene sussurrata e pronunciata una sola volta, a una sola persona, con l’obiettivo di arrivare a una formulazione diversa alla fine di una lunga catena, per far ridere. Questo non è affatto il processo che ha portato alla stesura dei Vangeli. Certo, Gesù non ha scritto nulla, ma ha insegnato come un rabbino (nei Vangeli viene chiamato Maestro quaranta volte e Rabbino dodici). Da allora i suoi dodici discepoli principali si sforzarono di memorizzare le sue parole, e abbiamo già visto che questa era l’abitudine di tutti i discepoli di un rabbino. Quindi gli evangelisti non hanno raccolto il frutto di un lungo e tortuoso passaparola. Sono stati testimoni oculari (Matteo e Giovanni) o diretti collaboratori (Marco e Luca). Non ci sono prove del contrario.

Inoltre, Brant Pitre dimostra che non esistono manoscritti anonimi dei Vangeli. Dato il loro numero e la dispersione delle copie, è impossibile che una decisione tardiva abbia portato a identiche attribuzioni di paternità. Vale anche la pena di notare che gli autori non sono molto importanti: uno è un apostolo secondario (Matteo) e due non sono apostoli (Marco e Luca). I falsari avrebbero preferito scegliere apostoli prestigiosi, come Pietro.

Infine, c’è il contributo di John Bergsma[9]. Egli ha presentato i risultati delle scoperte di Qumran, sottolineando che le numerose somiglianze tra gli scritti di questa comunità probabilmente essena e il Nuovo Testamento dimostrano che quest’ultimo è stato scritto nel I secolo, non nel II. Temi importanti, come la nozione di comunità gerarchica, erano presenti nel giudaismo già nel II secolo a.C.. I manoscritti di Qumran hanno permesso di fare notevoli passi avanti nella conoscenza del giudaismo del loro tempo, dimostrando che le parole di Gesù riguardano spesso dibattiti ben noti in questo mondo specifico, molto diversi da quelli che si sarebbero poi svolti nel mondo pagano del II secolo. I Vangeli sono quindi scritti del I secolo, con una storicità credibile, anche se quell’epoca era meno attaccata della nostra alla precisione dei dettagli.


* Pubblicato su Claves.org, il 25/1/2024; Traduzione a c. di DogmaTV.it

[1] Sui criteri di autenticità, si veda ad esempio: Darrell L. Bock, J. Ed Komoszewski (eds.), Jesus, Skepticism and the Problem of History: Criteria and Context in the Study of Christian Origins, Grand Rapids: Zondervan, 2019.

[2] Di lui sono ben noti i cinque, monumentali volumi su Gesù, un ebreo marginale pubblicati nel corso di ben 16 anni dall’editrice Queriniana. Iniziata nel 1991 e terminata nel 2016 nell’edizione originaria in inglese, questa indagine scientifica sulla realtà del Gesù storico consta in italiano di ben 3.735 pagine: un lavoro immenso per questo studioso di teologia biblica, già lodato da Benedetto XVI in più occasioni per l’accuratezza della sua ricerca scientifica, definendola «eccellente». Cinque volumi, quelli di Meier, che hanno scandagliato in profondità tutte le dimensioni umane e storiche di Gesù, come recitano i rispettivi sottotitoli: Le radici del problema e della persona, Mentore, messaggio e miracoli, Compagni e antagonisti, Legge e amore, L’autenticità delle parabole. [N. d. T]. Vedi anche: T. Holmén, S.E. Porter (dir.), The Handbook of the Study of the Historical Jesus, 4 volumes, Brill, Leiden-Boston, 2011.

[3] Richard Bauckham, Jesus and the Eyewitnesses. The Gospels as Eyewitness Testimony, Grand Rapids: Eerdmans, 2017/2.

[4] Craig L. Blomberg, The Historical Reliability of the New Testament : Countering the Challenges to Evangelical Christian Beliefs, Nashville: Broadman & Holman Publishers, 2016

[5] Craig S. Keener, Christobiography: Memory, History, and the Reliability of the Gospels, Grand Rapids: Eerdmans, 2019, p. 10.

[6] Bruno Bioul, Les Évangiles à l’épreuve de l’histoire, Perpignan: Artège, 2018.

[7] Peter Williams, Les Évangiles sont-ils fiables ?, Lyon:Éditions Clé, 2020.

[8] Brant Pitre, The Case for Jesus: The Biblical and Historical Evidence for Christ, New York: Image, 2016.

[9] John Bergsma, Jésus et les Manuscrits de la mer Morte, Paris: Bayard, 2021.


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