Pratica dell’esame particolare (I) La strategia spirituale

Pratica dell’esame particolare (I) La strategia spirituale

I. LA STRATEGIA SPIRITUALE*

Una battaglia decisiva

Il progresso umano ha raggiunto, oggi, proporzioni colossali; si può dire altrettanto del progresso morale? Si sono inventati nuovi mezzi d’indagine, nuovi e spaventosi mezzi di distruzione; ma non si è trovato nessun nuovo espediente per indagare e veder meglio nell’anima umana, e distruggerne le tendenze depravate. Anzi, siamo tornati indietro, poiché si è sistematicamente distrutto il lavoro di secoli, e non si è fabbricato pressoché nulla.

S. Agostino ci ha lasciato la breve, ma significativa preghiera: Signore, fa ch’io ti conosca per amarti, e che mi conosca per disprezzarmi: Domine, noverim te ut amem te, noverim me ut despiciam me.

Doppia conoscenza, che involge problemi di altissima importanza per tutti, ma più per chi è in obbligo di tendere alla perfezione. “La nostra natura corrotta dal peccato osserva lo Scaramelli (1) germoglia di continuo difetti e peccati. Sarebbe stolto il giardiniere che si contentasse di sbarbare una sola volta le erbe cattive, e poi non se n’occupasse più Anche l’anima religiosa che dopo il noviziato non pota e sbarba il giardino del suo cuore, diventa un orrido spinaio di colpe”.

A che pro, tagliare i rami d’un albero che ingombra il terreno, se non se ne estrae la radice? I rami si riprodurranno ben presto, e saranno più vigorosi di quelli tagliati. Si metta la scure alla radice, e i rami, privi di linfa e di nutrimento, seccheranno da sé.

Chi distrugge la tela di ragno, la vedrà sempre riprodursi, finché non si decida a sopprimere il ragno.

Quando la spina è entrata in un piede, non servono unguenti e pomate, se non si estrae la spina.

Così si dica per chi è tiranneggiato dall’eroismo, dalla vanità, dalla suscettibilità, dalla sensualità.

Un giorno Napoleone confidava a uno dei suoi marescialli:

Perbacco, ho fatto piegare la testa a tutti gli uomini dinanzi a me; eppure ce n’è uno che non ho mai domato

Ah, capisco rispose l’altro quell’uomo è certamente il Pontefice di Roma, il Vecchio del Vaticano.

No, quell’uomo sono io stesso!

Era vero. Aveva vinto centocinquanta battaglie, e ne aveva perduta una sola: ma la -più importante. Di qui la sua fatale rovina.

In quante anime si sono verificati veri disastri morali, perché non vollero comprendere la necessità della lotta attiva e costante contro le passioni!

Gesù ha detto: “Il regno dei cieli soffre violenza e i violenti se ne impadroniscono (2). Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (3) “

È una battaglia; anzi, una battaglia decisiva per conservare la vita della grazia sulla terra, e aspirare alla gloria eterna nei cieli.

La condizione fondamentale

L’avevano trovata anche gli antichi filosofi. Nosce te ipsum: Conosci te stesso! È la parola più alta della sapienza greca, che i sette Savi avrebbero fatto apporre a lettere d’oro sul frontone del tempio di Delfo.

Ma poche sono le anime che si conoscono a fondo e che si seguono con, cura costante, perché poche sono le anime che anelano all’aristocrazia dello spirito e che amano salire; come relativamente pochi sono quelli che si danno a scalare le vette delle alte montagne

Alle anime indolenti e trascurate può applicarsi quanto la S. Scrittura dice della vigna dell’uomo pigro: “Sono passato vicino al campo di un pigro, alla vigna di un uomo insensato: ecco, ovunque erano cresciute le erbacce, il terreno era coperto di cardi e il recinto di pietre era in rovina” (4).

S. Agostino deplorava che gli uomini del suo tempo scrutassero spesso il cielo, le stelle, i fiumi, i mari, i monti, dimenticando di guardare in se stessi. Il grande Padre della Chiesa non biasimerebbe di meno gli uomini del tempo nostro, perché quell’aberrazione ha oggi raggiunto proporzioni allarmanti. E non è pure raro il caso di trovare mondani che passano delle ore dinanzi allo specchio, per rimirarsi il volto; e poi non impiegano un minuto per esaminare l’anima loro.

Un educatore corresse un giovane collerico, mettendogli uno specchio dinanzi agli occhi, in un accesso violento di stizza: Guarda come sei bello!

Ma un effetto incomparabilmente più benefico produce l’accurato esame di coscienza, che è lavoro di scandaglio interiore, destinato a promuovere la riflessione personale, e l’autocontrollo sulla propria vita. Tale esame è un valido coefficiente d’introspezione psicologica, rivelando e riducendo le reali antinomie della vita; è l’a b c della perfezione, affinando la sensibilità morale; è uno dei più importanti e facili mezzi di perseveranza, obbligando alla serietà e alla continuità degli sforzi. Facendoci collaborare all’opera di Dio in noi, scuote la naturale indolenza, nella quale perdono rilievo le più forti convinzioni, e s’immiseriscono le più ricche energie. S. Giovanni d’Avila, vero maestro di spirito, dichiara apertamente: “Se fate con costanza l’esame di coscienza, i vostri difetti non potranno durare a lungo”. A ragione il Cardinale Mermillod definì l’esame di coscienza: l’atto essenziale della vita spirituale.

Con le riviste, gli esami, i ritiri, si imita l’uomo prudente, il quale, per ricorrere alle cure del medico, non aspetta di sentirsi male, ma chiede consigli anche quando sta bene. Così gode buona salute! Senza bisogno di cure radicali, di operazioni pericolose.

I due ostacoli

Sono l’orgoglio e l’apatia spirituale.

L’orgoglio, che non è affatto disposto ad accettare le osservazioni altrui, rifugge anche dagli sguardi introspettivi, per la vergogna naturale che si ha nel constatare le proprie miserie. Ne risulta l’accecamento, cagione di gravissimi danni a se stessi e all’attività che si svolge in qualsiasi campo, perché le bugie più funeste sono quelle che diciamo a noi stessi.

Osserva giustamente S. Francesco di Sales che “le verità meditate e non praticate, gonfiano talvolta lo spirito e fomentano la presunzione, sembrandoci di essere in realtà quali semplicemente abbiamo risoluto di essere” (5).

D’altra parte, l’apatia spirituale teme fin l’ombra di un serio lavoro interiore, e quella del sacrificio che occorrerebbe per rettificare quanto è difettoso. Pascal osserva acutamente: L’uomo si fugge, perché si teme.

Eppure, quanti fastidi si sanno affrontare con encomiabile buona volontà, quando si tratta di certi interessi terreni; mentre si è poi penosamente apatici, indulgendo con indifferenza sorprendente, a omissioni e a trascuratezze negli esercizi spirituali!

Per questo, l’esame di coscienza è già di per sé un segno evidente di seria volontà di migliorarsi e di perfezionarsi. E anche “se si limitasse alla conoscenza delle proprie miserie, a provocare il pentimento sincero e il proposito di far meglio, a diminuire di qualche unità le cadute, e a usare maggiore indulgenza verso gli altri, sarebbe già un gran guadagno” (6).

D’altronde: a che serve illudersi e credersi diversi da quel che si è? Iddio ci conosce a fondo; e, spesso, chi ci sta vicino, ci conosce assai meglio di quanto pensiamo.

Coerenza e lealtà esigono che facciamo accuratamente i nostri esami di coscienza.

La bussola morale

Il navigante in mare aperto o sull’oceano immenso, non riesce a sottrarsi a un istintivo senso di smarrimento, non scorgendo che cielo e acqua. Abisso al disopra, abisso al disotto, abisso da ogni lato

Come dirigersi, per raggiungere sicuramente il porto? Il pilota si affida a quel prezioso strumento di ancora ignota origine che è la bussola; egli la consulta di continuo, specialmente nelle notti illuni. Così controlla la direzione della traversata.

Ora la nave procede veloce e sicura, senza temere inavvertite deviazioni di rotta: l’ago calamitato indica sicuramente il nord magnetico orientatore.

L’anima nostra è simile a nave, lanciata nel gran mare della vita e nell’oceano del mondo, per raggiungere la lontana spiaggia dell’eternità.

Iddio stesso ha provveduto gli uomini di uno strumento orientatore di mirabile precisione morale: la bussola dell’anima è la coscienza. Essa ci guida sicuramente nel ponderare, scrutare e soppesare, con seria disamina, ogni intima vicenda dell’anima. Bisogna consultarla e seguirla fedelmente, tra i facili adescamenti dei sensi, gli allettamenti fascinatori delle passioni, le insinuazioni si spesso ammaliatrici del mondo corrotto e corruttore.

La coscienza, eco fedele di arcana voce divina, ispira, dirige, consola, pungola la natura indolente o recalcitrante, che sbanda a destra e a sinistra senza concludere nulla. Perciò la S. Chiesa ci ripete nell’Invitatorio al Mattutino la pressante esortazione del Salmista: “Hodie si vocem eius audieritis, nolite obdurare corda vestra: Se oggi sentirete la sua voce, non vogliate indurire i vostri cuori” (7).

I marinai fanno il punto sul mezzodì di ogni giorno, per determinare le coordinate geografiche della longitudine e della latitudine, rispetto al luogo raggiunto.

Analogamente il buon cristiano fa ogni giorno con cura il suo esame di coscienza, per rendersi conto della posizione esatta dell’anima, nelle sue relazioni verso Iddio, il prossimo e se stesso.

L’esame dei santi e quello dei savi

L’esame di coscienza costituisce una delle armi più potenti per il progresso spirituale, consigliata e usata dai Santi.

Già S. Paolo ammoniva che “se mettessimo sotto giudizio noi stessi, non saremmo messi sotto giudizio da Dio” (8).

Dopo di lui i Padri della Chiesa attesero con ogni impegno all’esame di coscienza. S. Girolamo, S. Agostino, S. Giovanni Crisostomo e altri ne parlarono.

S. Gregorio dice chiaramente che “il contrassegno degli eletti è di fare l’esame di coscienza, e indizio di riprovazione il non farlo” (9).

S. Bernardo vi dette un forte impulso.

Chi non ricorda l’avvertimento dell’amabile santa italiana Caterina da Siena: “Entra nella cella del conoscimento di te”?

S. Ignazio di Loiola si esaminava ogni ora su quanto aveva pensato, detto, operato; segnava le sue mancanze ogni giorno sopra un quadernuccio, che fu trovato sotto il guanciale, dopo la sua morte. Egli diresse i primi discepoli con l’esame di coscienza e l’uso dei sacramenti; insistendo sulla purificazione interiore, in vista dell’unione con Dio, insegnava che la malattia o qualche necessità, possono dispensare perfino dall’orazione, dalla Messa, dall’Ufficio, ma non dagli esami di coscienza.

Con l’impiego di questo mezzo, usato per ventidue anni, S. Francesco di Sales riuscì a correggere il suo carattere collerico, e ad acquistare una meravigliosa dolcezza.

Il Servo di Dio Frère Exupérien delle Scuole Cristiane, venticinque anni prima della morte, si era obbligato con voto a fare tutti i giorni il suo esame particolare

S. Teresa del Bambino Gesù dice che, all’età di quattro anni, dopo esserle morta la madre, tutte le sere chiedeva alla sorella Paolina che la metteva a letto: “Sono stata buona, oggi? Il Signore è contento di me? E gli Angeli, mi voleranno intorno?” Ecco un significativo indizio di esame di coscienza, come già lo presentiva un’anima, favorita da specialissime grazie di predilezione.

Ma anche tra i cristiani del mondo è apprezzato e praticato tale esame. Negli scritti intimi del Presidente dell’Equatore, Garcia Moreno, l’eroe della fede e della patria, si è trovato questo proposito: Farò il mio esame di coscienza particolare due volte al giorno sull’esercizio delle virtù, e il mio esame generale tutte le sere.

Il “Capitano Santo“, Guido Negri, “aveva preso, da piccino, l’abitudine di esaminarsi ogni giorno sui difetti quotidiani; in questa norma di vita egli attinse il controllo sulle azioni, che lo aiuto ad ascendere ininterrottamente sulla via della santità” (10).

Il P. Lenoir, gesuita, cappellano militare dei Marinai francesi nella prima guerra europea, aveva una stima singolare per l’esame particolare di coscienza.

Non si contentava di farlo personalmente, ma ne aveva inculcato l’uso, perfino tra i suoi marinai, dicendo loro che l’esame particolare è la sentinella che sorveglia i punti malsicuri, attraverso i quali il nemico potrebbe introdursi nell’anima nostra.

Ai soldati distribuiva foglietti, da essi assai apprezzati invitandoli a restituirli appena riempiti delle cifre o dei segni convenuti.

Così venivano indicati con cifre o con buchetti sulla carta i numeri. delle bestemmie sfuggite, delle parole offensive, dei gravi atti d’impazienza.

Quei rudi marinai (les Marsouins) ci tenevano assai. Uno di essi scriveva al Padre: “L’esame particolare va avanti giorno per giorno Quanto bene mi avete fatto, dandomi questo mezzo di santificazione!”.

Un altro: “Mandate anche a me uno di quei preziosi foglietti, di cui mi ha parlato il nostro caporale, che ci tiene tanto”

In quanto a sé, il P. Lenoir continuò a segnare il suo esame sulla dolcezza, sino alla vigilia della sua morte, avvenuta sul Fronte macedone, il 9 maggio 1917.

Si conserva tuttora l’ultimo foglietto, macchiato del suo sangue (P. Guitton S. J.).

Nella vita di Aldo Marcozzi, l'”Adolescente radioso”, leggiamo: L’uso costante dell’esame particolare condusse Aldo alle più alte conquiste spirituali (11).

Il protestante Beniamino Franklin annotava fedelmente le sue mancanze in un libretto.

Diversi educatori propongono questo esercizio ai discepoli, per aiutarli a correggere i difetti più in vista. Così un professore atto, il Payot, raccomandava ai suoi studenti universitari il metodo ignaziano dell’esame particolare, per correggere i difetti di carattere.

Arturo Wellington, il duca di ferro inglese (1852), famoso generale, vincitore di Napoleone a Waterloo, aveva l’abitudine di spendere ogni sera quasi un’ora nel giudicare il proprio operato.

Egli attribuiva tanti suoi successi a questa bella abitudine.

Certamente non fu coi lampi di genio, ma con la metodica eliminazione degli errori, ch’egli salvò l’Inghilterra.

D’altronde sappiamo che i filosofi antichi, come Socrate, Plutarco, Seneca, Cicerone, Marco Aurelio, imponevano ai discepoli un esame circostanziato su quanto avevano detto, fatto, udito nel giorno.

Pitagora consigliava, ai suoi discepoli di non abbandonarsi alle dolcezze del sonno, prima di aver esaminato a lungo gli atti della giornata, e di aver interrogato la propria coscienza su quello che si è fatto, sul modo di farlo, e su quanto si è omesso di fare.

Ma, a differenza degli asceti cristiani, “negli Stoici lo spirito che vivifica tale processo di interiorizzazione non aveva nulla di religioso. Fidando sulle sole loro forze, e con lo scopo di dominare superbamente se stessi, senza farsi influenzare, ma dirigendo tutto, essi entravano nel loro io e lo scandagliavano un poco. Il loro esame di coscienza non era un atto di pietà verso Dio, ma solo un mezzo umano di formazione morale” (12).

Esame ed esami

La vita spirituale è stata paragonata a un mirabile congegno di meccanica, e, com’esso, ha bisogno di controlli regolari e periodici.

Si controlla spesso un’automobile, un aeroplano, un orologio I meccanici più avveduti moltiplicano le minute ispezioni per verificare il perfetto funzionamento delle macchine.

Anche l’attività spirituale ha bisogno di frequenti controlli, che si fanno con gli esami interiori, consistenti in uno sguardo. introspettivo e retrospettivo nella propria vita.

Di tali esami ce n’è tutto un assortimento: dall’esame di coscienza che precede la confessione, agli esami giornalieri, alle riviste settimanali e mensili, ai ritiri annuali È tutta una ricchissima fioritura, di cui si deliziano le anime ferventi.

Nella cittadina di Winchelsea, sulla costa orientale dell’Inghilterra, esiste tuttora una carica singolare: quella di sorvegliante della costa, regolarmente retribuita a spese del Comune, il quale nomina tutti gli anni un cittadino probo e onorato, che dovrà recarsi personalmente tre volte al giorno sopra un punto elevato, da dove si abbraccia un largo tratto di mare; lì osserva se vi sono vele sospette all’orizzonte, e, in caso positivo, le segnala all’autorità comunale.

Tale uso risale al secolo XIV, quando la cittadina fu sorpresa e devastata dai pirati francesi; per impedire il ripetersi della stessa sciagura, fu istituito il sorvegliante della costa, tramandato di generazione in generazione, ai primogeniti della famiglia Barden.

(Da un giornale di Massa Carrara)

Anche l’anima nostra è insidiata da nemici e da pirati: accorto è chi tre volte al giorno dà un’occhiata attenta, scrutando l’orizzonte della propria anima, coi tre esami, che mirabilmente inquadrano la nostra giornata, collegandosi e integrandosi a vicenda; l’esame di prevedimento – l’esame particolare – l’esame generale della sera.

L’ESAME Dl PREVEDIMENTO si fa all’alzata, vestendosi, o dopo la preghiera del mattino. È una rapida occhiata interiore alla giornata precedente, per considerarne le mancanze e non ricadervi; e un’occhiata alla giornata attuale, alfin di prevedere le difficoltà e le occasioni di mancare ai propri doveri.

Uno sguardo a ieri, e uno a oggi alla presenza di Dio: ecco l’esame di prevedimento.

1. In quali mancanze considerevoli sono caduto ieri? (Voti – Regole – Doveri di stato – Propositi fatti).

2. Che cosa prevedo di speciale per oggi? (Confessione – Comunione – Visite – Rendiconto Occupazioni).

3. In quali mancanze sono esposto a cadere oggi? Che cosa propongo per evitarle?

4. Quali punti di esame particolare controllerò oggi?

5. Su quale risoluzione della settimana o del mese, mi fermerò nell’esame generale di oggi?

L’ESAME CENERALE Si fa la sera, dopo l’esame particolare, o durante una visita in cappella, o a’ pie’ del letto. Consiste in un’attenta occhiata alla giornata trascorsa, per indagare come si sono assolti i propri doveri:

1. verso Dio:

preghiere, orazione, vita interiore;

2. verso il prossimo:

sottomissione ai superiori, carità coi confratelli, zelo e pazienza con gli alunni;

3. verso noi stessi:

regolarità, risoluzioni prese, ricerche personali a scapito del dovere

Con questo esame si emenda la propria vita, si prevengono le sorprese della morte e dei giudizi di Dio. S. Giovanni Crisostomo esorta: Ogni giorno, o cristiano, alla sera, prima di andare a riposo, cita a giudizio la tua coscienza, domandale conto delle opere compiute; e se in quel giorno hai fatto del male, scrutalo, rimproveratelo anche con durezza, e fa di pentirtene (13).

L’ESAME PARTICOLARE, invece, considera un solo aspetto dell’attività spirituale: attacca un solo difetto per distruggerlo, o concentra gli sforzi nell’acquisto di una virtù per volta.

Questo esame deve la sua origine al fatto che è impossibile combattere contemporaneamente e con successo più difetti. Anche la pedagogia moderna raccomanda la specializzazione degli atti di volontà.

L’esame particolare si fa due volte al giorno, cioè in due tempi: circa la metà e alla fine della giornata, prima o dopo l’esame generale.

Fra tutti gli esami di coscienza, quello particolare è l’ESAME per eccellenza, nella tattica spirituale.

Chi vuole distrigare un’arruffata matassa, non prende tutti i fili insieme, ma ne segue pazientemente uno alla volta, e ne viene a capo.

Un uomo impotente a rompere un fascio di verghe, ne rompe facilmente una per volta, dopo averle slegate.

Per la sua evidente efficacia, tutti i maestri della vita spirituale raccomandano con insistenza l’esame particolare come uno dei più potenti mezzi di santificazione. “Se non progrediamo come dovremmo nella vita spirituale, la colpa sta nell’uso difettoso dell’esame generale, e, più ancora, di quello particolare” (14).

È del P. Chaminade, fondatore dei Marianisti, la recisa asserzione: “Il religioso che non fa più l’esame particolare, ha cessato ogni progresso nella perfezione”.

Dal canto suo, il P. de Ravignan soleva dire: “Volete sapere a che cosa possono ridursi tutte le risoluzioni di un ritiro?” E rispondeva invariabilmente: “A fare ogni giorno, con fedeltà, il proprio esame particolare”.

Alcuni si allarmano al solo sentire nominare “Esame particolare”, e si pongono in una pregiudiziale posizione di difesa, quasi si volesse attentare alla loro tranquillità. Evidentemente, la nostra depravata natura che si cela sotto interessate apparenze di opportunità, non vede affatto di buon occhio un esercizio, destinato proprio alla estirpazione di difetti e d’inclinazioni sregolate; e preferisce fare il callo sopra abitudini ormai inveterate, e che secondano tanto bene i propri comodi; ma questo, precisamente, dimostra l’importanza dell’efficiente esercizio.

“Molti cavalli tirano il cocchio, e l’occhio li vigila tutti; ma pure, nel centro di quella quadriglia, ce n’è uno che esige maggiore attenzione del guidatore, o perché corre troppo o troppo poco, va a destra piuttosto che a sinistra, in modo da sviare anche gli altri.

I cavalli sono le molteplici facoltà che possiedi insinua Mons. Francesco Tònolo; il guidatore sei tu, che diventi esperto solo per mezzo del tuo esame particolare (15).

In questo opuscolo ci occuperemo prevalentemente dell’esame particolare, esponendo succintamente la dottrina ascetica ad esso relativa.

Un esame in cinque punti

Nella spiritualità ignaziana, l’Esame Particolare ha un’importanza capitale fra tutti gli esercizi proposti nei giorni di ritiro, perché non si limita a dare uno sguardo superficiale alle vicende grandi e piccole di una mezza giornata, ma scruta le disposizioni intime dell’anima, e i movimenlti che lo Spirito Santo, le passioni personali o il demonio, possono aver provocato.

Perciò S. Ignazio prescrive i cinque punti seguenti, per svolgere ordinatamente l’esame di coscienza:

1. Ringraziare Dio dei suoi benefici: il ricordo delle grazie ricevute prepara il cuore al pentimento, e stimola alla generosità. Si considerino varie serie di grazie.

2. Implorare l’assistenza dello Spirito Santo, per conoscere le colpe commesse, poiché l’amor proprio ci tiene nascoste molte nostre miserie.

3. Ricercare lealmente le colte commesse, tempo per tempo, rispetto al programma stabilito, dall’alzata fino al momento dell’Esame; segnarle esattamente, e paragonarle a quelle degli esami precedenti, per non restare nel campo delle vaghe aspirazioni.

4. Chiedere perdono a Dio, almeno delle colpe deliberate e volontarie esprimendo, con insistenza, vivi sentimenti di contrizione (16), come si fa nella confessione.

5. Prendere qualche buona risoluzione pratica, prevedendo le occasioni che si presenteranno; e sopratutto chiedere fervorosamente a Dio la grazia di eseguirla.

Qualche autore suggerisce di riconginugere i cinque punti dell’esame di coscienza all’adorazione delle cinque Piaghe di Gesù, dalle quali si fanno scaturire i sentimenti di gratitudine, d’implorazione, di pentimento. (17) Con un po’ di pratica, si riesce a fare speditamente gli atti sopraelencati.

Di questi punti il più importante è il pentimento, perché dalla sincerità del dolore dipende la forza delle risoluzioni, e, quindi, il progresso reale.

Chi passa tutto il tempo nella ricerca delle mancanze, senza pensare a detestarle, somiglia a chi pensasse solo a contare le ferite riportate, senza curarle

Il pentimento che segue premurosamente una mancanza, capovolge nell’anima la posizione, che da negativa si fa positiva: il NO, strappato alla fragilità umana, diventa un esplicito e consapevole SÍ di cooperazione alla grazia.

Molti ricavano poco frutto dall’esame ammonisce il Rodriguez (18) perché impiegano tutto il tempo nel cercare quante volte siano caduti nei difetti; e il resto lo fanno solo superficialmente; perciò, quante volte sono caduti oggi, tante cadranno domani Sta bene che cerchi i tuoi difetti; ma se non chiedi perdono a Dio e non proponi l’emenda, non ti correggerai neppure in venti anni”.

Gli autori moderni non sono meno espliciti:

“Sapendo che da noi stessi siamo incapaci di evitare il peccato, e, più ancora, d’innalzarci a Dio con la pratica delle virtù, dal fondo delle nostre miserie e appoggiati ai meriti infiniti di Gesù, noi supplichiamo Iddio di chinarsi fino a noi, per ritrarci dal fango in cui affondiamo, e sollevarci sino a Lui. Con tali disposizioni, più che con la minuziosa ricerca delle mancanze, l’anima si trasfigura sotto l’azione potente della grazia” (19).

Il punto nevralgico

Ultimo requisito a riprova del pentimento sincero, è l’infliggersi delle sanzioni, proporzionate al numero e alla gravità delle mancanze sfuggite. È stimolo e riparazione.

Il cavallo bizzarro che ha ricevuto una speronata dopo qualche capriccio, si guarda dal ricominciare

Anche per l’esame particolare, non bisogna limitarsi a nutrire semplici desideri Chi non crea in se stesso un ambiente di leale autocontrollo e di coraggiosa autoimposizione, non combinerà un gran che, nonostante le pie letture, le esortazioni e le direttive ricevute: Tanto sarà il tuo profitto, quanta sarà la violenza che ti farai: dice con rude franchezza l’Imitazione di G. C. (20).

“Nella spiritualità di S. Ignazio c’è il timbro militare: la lotta e la disciplina. Naturalmente non fu egli il primo a vedere la vita cristiana come un combattimento: Gesù stesso e dopo di Lui S. Paolo, l’avevano presentata così; all’epoca di S. Ignazio, uno dei libri che più concorsero al risveglio della pietà cristiana, fu proprio il Combattimento spirituale del teatino Lorenzo Scupoli. Ma, da buon capitano che aveva sognata e vissuta la vita delle armi, S. Ignazio organizza la vita spirituale come una lotta, con una strategia energica e finissima” (21).

“Non v’illudete dichiarava S. Margherita Maria alle sue novizie: non otterrete nulla senza combattere, e combattere a fil di spada. E vuol dire che anche voi dovete essere tra quei violenti che rapiscono con la forza il regno dei cieli” (22).

Ed è stato giustamente rilevato che per darsi a Dio, bisogna dapprima conquistarsi (23).

Le sanzioni debbono essere graduate, e adatte al genere delle colpe commesse. Perciò si fanno atti di umiliazione, se il soggetto di esame riguarda la lotta contro qualche manifestazione della superbia; atti di mortificazione, se si tratta di vincere la sensualità; ore di silenzio e di raccoglimento, se si vogliono riparare dissipazioni, distrazioni volontarie, ecc.

Alcune pratiche sono particolarmente care alle anime pie: prendere per un certo tempo, una positura un po’ incomoda alla natura, baciare la terra, recitare una preghiera, scostati dal banco, o a mani giunte non bere, o attendere un po’, quando si ha sete, privarsi di qualche dolce o caramella rinunziare a una comodità superflua, a una lettura curiosa, qualche colpo di riga o di oggetto duro sulle dita (24).

Chi nota poco progresso, può stimolarsi computando come doppie, le mancanze (e quindi le sanzioni) contro uno dei punti fissati. Però, quando si prevede che un certo numero di mancanze sarà inevitabile, si può stabilire di computare e sanzionare solo da quel numero in poi, per non scoraggiarsi.

Si abbia per soggetto di esame, l’ATTENZIONE NELLE PREGHIERE VOCALI. Si computa sommariamente e in – circa il numero complessivo delle distrazioni, e si stabilisce di sanzionare soltanto le preghiere distratte che sorpassano un certo numero. Per esempio, fino a 6 preghiere distratte, nessuna sanzione, perché si sa per esperienza che non si riesce ad avere un’attenzione maggiore. Successivamente, coi progressi realizzati, si potrà restringere quel numero a 5, 4, indulgendo sempre in misura minore alle colpe sfuggite alla propria fragilità. Così si evita lo scoraggiamento.

A conferma di questa prassi ascetica, riportiamo quel che si legge nella vita di S. G. B. de La Salle. Tra le risoluzioni prese in un ritiro, troviamo la seguente: “Almeno venti volte al giorno unirò le mie azioni a quelle di Nostro Signore, e procurerò di conformarmi alle sue viste e intenzioni. Ogni volta bucherò un pezzetto di carta; e per ogni volta che l’avrò tralasciato, dirò altrettanti Pater, baciando la terra, prima di coricarmi” (25).

Con la pratica coraggiosa dell’esame particolare seguito dalle sanzioni, il risultato sarà raggiunto sicuramente: “Non c’è difetto per quanto radicato, non c’è passione comunque violenta, che con l’esame particolare non possano vincersi, o, per lo meno, essere posti nell’impotenza di nuocere” (26).