L’epoca scelta da Dante per il suo viaggio ultramondano

L’epoca scelta da Dante per il suo viaggio ultramondano

Il viaggio di Dante è un vero e proprio itinerario dell’anima a Dio e il Poeta intende di compiere con esso una sua missione di redenzione dell’Umanità che somigli in qualche modo a quella del divino Messia.

È per questo che Egli cerca di creare tutte le analogie possibili, reali e simboliche, con l’opera della Redenzione: il 1300, l’Equinozio, il Plenilunio, il Mattino.

Il 1300 è per Lui l’anno centrale di tutti i tempi fra la creazione e la fine del Mondo ed è anche l’anno del 1°Giubileo della Cristianità; l’Equinozio di Primavera, il Plenilunio e la Posizione del Sole al mattino determinano il mese, il giorno e l’ora più felici e più adatti in quanto riproducono le condizioni del tempo della Creazione e della Redenzione.

Tutto avviene in una settimana, la Settimana Maggiore dell’anno, quella che ricorda la Grande Redenzione.

Così l’analogia appare perfetta; ma consideriamola brevemente in ognuna delle sue parti:

1). Il 1300 era un anno importante e simbolico per Dante quanto quelli della Creazione, della Incarnazione e della Redenzione, perché, secondo Lui, era l’anno centrale di tutti i tempi in quanto con esso terminavano i 6.500 anni calcolati dalla Creazione di Adamo e dopo altri 6.500 anni sarebbe avvenuta la fine del mondo[1].

Fu dimostrato questo molto acutamente da Rodolfo Benini non molti anni fa e per questo riportiamo in nota quasi per intero la sua dimostrazione che, se è particolarmente curiosa, non si può dire che non sia convincente[2].

2). Era inoltre il 1300 un anno di grazia e il secolo nuovo si apriva con una grande promessa di rinnovamento spirituale, giacché per quell’anno il Papa Bonifacio VIII aveva indetto il primo Giubileo.

Quanto s’è detto riguarda gli anni che precedettero il 1300; vediamo ora quanto Dante afferma per gli anni che dal 1300 corrono fino alla fine del Mondo.

Ben si ad diceva a quell’epoca di ritorno del gregge cristiano al Pastore l’allegoria del ritorno degli uomini (Dante) alla ragione (Virgilio) e, attraverso la ragione, alla Verità rivelata (Beatrice) e a Dio.

3). Ma non basta. La Dolce stagione primaverile parve a Dante l’epoca più adatta alla resurrezione dell’anima peccatrice che, allettata dalla speranza dinanzi al mondo che si rinnova, è sorretta da novella energia e si sente capace di uscire dalla «selva oscura» dei suoi traviamenti per salire il «colle luminoso» della virtù attraverso la meditazione salutare delle pene e del premio che si addicono alle opere umane.

I cieli e la terra, ossia tutta la Natura, concorrono perciò nell’alta fantasia del Poeta ispirato a simboleggiare e a favorire ad un tempo l’itinerario dell’anima che si volge a Dio.

Immagina Egli dunque che quando ebbe inizio il suo viaggio ultraterreno fosse il principio dell’anno astronomico, ossia l’Equinozio che nel nostro emisfero dà inizio alla primavera.

Anche la Creazione e la Redenzione del Genere Umano avvennero secondo Dante (Inf. I, 39) – (Conv. IV, 5) in questa stagione, perché la Primavera è la stagione di tutti gli inizi e di tutti i rinnovi; in essa si schiudono meglio che in ogni altra i germogli della vita e anche le anime si fanno serene mentre si fa limpido il cielo.

All’equinozio inoltre c’è l’equilibrio fra la durata della notte e del giorno e il Poeta lo interpreta per un momento propizio in cui tutte le forze delle Tenebre sono pari alle forze della Luce e perciò la vita dello spirito è più perfetta e più equilibrata perché più meritoria ed è più facile la decisione dell’anima ad elevarsi.

4). La notte poi che il Poeta trascorse smarrito nella selva selvaggia era fortunatamente notte di luna piena (Purg. XXIII, 119) ed Egli per questa circostanza fortunata poté ritrovare il sentiero per giungere in vista del colle.

Il Plenilunio di Primavera (ossia del mese di Nisan secondo il calendario lunare degli Ebrei) aveva illuminato anche Cristo nell’orto e la pallida luce lunare lo aveva confortato del prezzo doloroso della Redenzione che Egli stava compiendo e di cui la redenzione di Dante voleva essere un ricordo efficace. Plenilunio pasquale quindi anche per il divino Poeta[3].

Anno centrale e Giubilare, Equinozio, Plenilunio sono dunque idee fondamentali per lo studio del Poema di Dante e bisogna tenerle sempre presenti nell’ accompagnare il Poeta nel suo viaggio.

Sono state studiate e discusse da molti e in vari tempi, e sono rimaste valide in ogni riferimento del Poeta anche e nonostante le inevitabili incoerenze in cui a volte è incorso necessariamente l’Alighieri che tentò di conciliare la sua bella allegoria con la scienza.

Non è difetto, del resto, che in un Poema appaia a volte qualche incoerenza o inesattezza o oscurità scientifica, poiché la Poesia non può essere legata a nessuno schema e la fantasia giunge sempre più in là della scienza e non può seguire sempre le stesse vie.

Testo tratto da: R. ZAMPILLONI, Il Cammino del sole, Milano 1961, pp. 9-13.


[1] Era forse il compiersi dell’anno cosmico o «magnus annus», di cui dice Cicerone nel Somnium Scipionis (XVI, 22) e che Tacito riferendosi all’Hortensius ciceroniano, nel suo Dialogo degli Oratori (16) gli fa calcolare di 12.954 anni solari.

Tale cifra un po· arrotondata potrebbe corrispondere ai 13.000 anni che Dante assegna alla vita degli uomini sulla terra.

Non tutti i dantisti pongono nell’anno 1300 la data d’inizio del viaggio di Dante; noi l’accettiamo perché bene si adatta alla allegoria del poema e perché Dante stesso la conferma in più passi come vedremo in seguito.

[2] Seguiamo la dimostrazione di Rodolfo Benini (Scienza, Religione ed Arte nella Divina Commedia in Atti della Reale Accademia d’Italia, 1939) rileggendo con Lui alcune terzine del Poema:

… E vidi Lui tornare a tutti i lumi della sua strada novecento trenta fiate, mentre ch’io in terra fu’mi. (Par. XXVI, 121)…E Vidi il sole ritornare a tutte le costellazioni dello zodiaco per 930 volte nel tempo in cui io rimasi sulla terra
… quattro milia trecento e due volumi di Sol desiderai questo Concilio. (Par. XXVI, 119)Deciderai di salire qui in paradiso quattromila trecento e due anni
… ler, più oltre cinqu’ore che quest’otta mille dugento con sessanta sei anni compié che qui la via fu rotta. (Inf. XXI, 112)ieri, cinque ore dopo questa in cui noi siamo, si compirono mille duecento sessanta sei anni da quando qui fu rotta la via.

I 930 anni calcolati dal ritorno del Sole nelle varie costellazioni sono evidentemente anni siderali, ma questo poco importa perché corrispondono ad altrettanti anni solari più 9 giorni e 8 ore.

L’anno siderale infatti è l’intervallo fra due ritorni consecutivi di sole allo stesso punto della sfera celeste e supera appena di 20′ e 24″ l’anno solare, ossia l’intervallo di tempo fra due ritorni successivi di sole all’equinozio di primavera.

Se Adamo vide 930 volte il sole tornare perciò al suo punto di partenza, è chiaro che visse 931 anni perché quando il Sole terminò un giro e ne incominciò un altro per lui, era già trascorso un anno della vita del nostro progenitore nell’Eden.

I 4.302 volumi di sole, sono altrettanto chiaramente anni solari.

I 1.266 infine sono stati ottenuti da Dante togliendo quelli della vita di Cristo dai 1.300 che rappresentano l’anno in cui scrive il suo Poema e gli anni di Cristo che per Lui non erano 33, ma 34 perché a Firenze in quel tempo vigeva l’usanza di calcolare gli anni non dalla Nascita di Cristo, ma dalla Concezione e quindi il Calendario fiorentino aveva la differenza di un anno da quello che oggi abbiamo noi.

Dante inoltre scese nell’Inferno non nell’anno 1.266 dalla morte di Cristo. ma nell’anno 1.267 perchè 1.266 anni s’erano compiti il giorno prima (ier).

In tal modo:

dalla creazione di Adamo alla sua morte, anni931(Par. XXVI, 121)
dalla morte di Adamo alla morte di Cristo, anni4.302(Par. XXVI, 119)
Dalla morte di Cristo al 1300, anni1.267(Inf. XXI, 112)
 Totale6.500 

Quanto s’è detto riguarda gli anni che precedettero il 1300; vediamo ora quanto Dante afferma per gli anni che dal 1300 corrono fino alla fine del Mondo.

… Prima che Gennar tutto si sverni per la centesma ch’è laggiù negletta, (Par. XXVII, 142)Prima che Gennaio cessi di essere un mese invernale per I minuti trascurati ogni anno
… vero frutto verrà dopo ‘l fiore (Par. XXVII, 148)giustizia sarà fatta

Poiché l’errore in eccesso dell’anno civile giuliano sull’anno solare era stimato, come quello dell’anno siderale, di un giorno al secolo, l’equinozio di primavera anticipava di un giorno ogni cento anni (Conv. II, 6, 15).

Al tempo di Dante, perciò, la Primavera iniziava astronomicamente al 12 di Marzo e non più al 21 Marzo come si era constatato al Concilio di Nicea per poter fissare in modo definitivo la Pasqua.

Dopo 65 secoli, sarebbe ancora arretrata di 65 giorni e si sarebbe portata al 6 o al 7 di Gennaio, ossia quasi tutto Gennaio sarebbe uscito dall’Inverno divenendo il primo dei mesi primaverili.

I 65 secoli sono appunto i 6.500 anni che separavano Dante dalla fine del Mondo, in cui si sarebbe fatta finalmente giustizia.

. . . e  pria che moia, questo centesimo anno ancor s’incinqua: (Par. IX,39-40)… e prima che la sua fama si spenga, quest’anno centenario dovrà ancora moltiplicarsi per cinque.

Il centesimo anno è il 1300 che moltiplicato per 5 dà appunto 6.500 anni, quanti durerà ancora la fama di Folchetto e questo è quanto dire fino alla fine del mondo.

DILIGITE IUSTITIAM’… ’QUI IUDICATIS TERRAM’… (Par.XVIII, 91-93)… amate la giustizia voi che giudicate la terra …

La prima terna di lettere dei versetti sacri era uso degli antichi (Ebrei, Musulmani, Cristiani) che fosse interpretata per i suoi significati mistici na scosti con i numeri che se ne ricavavano.

Qui la prima terna di lettere è DIL ossia 549 (numero romano); poiché gli anni di Giove sono di 4.331 giorni; moltiplicando 549 per 4.331 giorni abbiamo la somma di 2.377.71 giorni che corrispondono a 6.500 anni, quanti ossia ne mancavano al momento della vision e di Dante per la fine del Mondo.

[3] Nel secolo VI d. C. fu adottato anche in Occidente dopo infinite discussioni il computo alessandrino della Pasqua, che divenne poi universale al tempo di Carlo Magno. Per questo compunto la Pasqua cade nella prima domenica che segue il primo plenilunio dopo l’equinozio di Primavera (21 marzo) e corrisponde alla prima domenica che segue il 14 del mese ebraico lunare di Nisan, il quale giorno è appunto plenilunare.