Lettera aperta a Mons. Viganò

Lettera aperta a Mons. Viganò

Eccellenza, a seguito di un nostro scambio epistolare in cui Lei benevolmente si è degnato di rispondermi, infine mi ha posto una domanda e ha formulato una tesi:

  1. Vi furono Papi che dissero esplicitamente che se un loro successore avesse temerariamente affermato dottrine eretiche, non lo si sarebbe dovuto seguire.
    Ora la domanda è: se questi Papi hanno potuto ammettere l’eresia di un altro Papa, e a fronte di questa hanno comandato di disobbedire, come si conciliano le Sue affermazioni con queste loro parole?
  2. Noi non decidiamo cosa tenere e cosa rifiutare del Depositum Fidei; al contrario, abbiamo una ragione e un sensus Fidei che ci illuminano per comprendere chi lo fa, e respingere ogni vento di novità.

Le ho risposto privatamente, ma non ho più ricevuto alcun riscontro. Giacché nello scambio epistolare non sono trattate cose private, ma tesi teologiche, pubblico parte della mia ultima risposta: ho in vista solo il bene della Chiesa e mantengo il massimo rispetto per la Sua persona

Rispondo:

ad A) La quaestio del Papa eretico è una delle più discusse e su cui ci sono disparità di pareri anche tra gli autori approvati. Non possiamo assolutamente dare per scontato che un Papa possa essere formalmente eretico, secondo la precisa categoria teologica di oggi, ovvero: è eretico colui che nega pertinacemente una verità di fede rivelata o proposta a credere in modo definitivo dalla Chiesa.

Ad B) “una ragione e un sensus Fidei che ci illuminano per comprendere” non è un criterio certo nell’ordine di esecuzione, giacché a questo principio si appellano opinioni teologiche contraddittorie.

Spiegazione

Ave Maria! ??

Eccellenza,

innanzitutto. La ringrazio per l’attenzione che ha riservato alle mie povere considerazioni. Lei mi pone delle domande, in un periodo storico che pone molte domande – domande difficili -, alle quali è altrettanto difficile rispondere.

È la nostra croce: seguire Gesù quasi al buio, in una contingenza storica inimmaginabile solo dieci anni fa.

Spero che queste tenebre siano simili a quelle proprie delle purificazioni passive dell’anima, che siano cioè tenebre per troppa luce; e spero altresì che, a una scarsa visibilità ai sensi dell’anima, corrisponda una grande effusione di grazia da parte di Nostro Signore, grazia tale che ci faccia progredire nel santo amor di Dio: “La fede oscura guida sicura del santo amor. Oh! qual dolcezza la sua certezza mi reca al cuor!”, diceva San Paolo della Croce[1].

Lo scritto che ho sottoposto alla Sua attenzione nasce da quarant’anni (su sessantadue) passati nella persecuzione per la fede cattolica:

[…]

Tutto questo è accaduto e accade perché ho sempre confessato la nostra santa fede cattolica e denunciato gli errori, nella piena consapevolezza dei conti salati che avrei dovuto pagare.

In questo felice Calvario mi sono appoggiato sulla consacrazione mariana secondo la dottrina del Montfort, e alle promesse di Nostro Signore fatte a Pietro, “portæ inferi non prævalebunt”[2], e “ego autem rogavi pro te ut non deficiat fides tua”[3].

E mi sono appoggiato anche alle parole di San Roberto Bellarmino, contro le tentazioni di chiese spirituali alternative, a cui non corrisponde una faccia visibile e concreta: “La Chiesa è un ceto di uomini così visibile e palpabile come il ceto del popolo romano, o del regno di Francia o della repubblica di Venezia”[4].

In questi 40 anni, quante tentazioni di schiodarmi ho avuto! La tentazione maggiore è stata una certa tesi, secondo la quale, siccome il Magistero non si può contraddire, “evidentemente” quanto proposto dal 1962 in poi non è Magistero, perché – in quanto errato – non può procedere da chi detiene formalmente l’autorità per proporlo.

La risposta che mi son dato è stata che il fatto che io non capisco come il Magistero non si contraddica, non implica che realmente si contraddica.

Un certo aiuto per evitare soluzioni intellettualmente facili e comode è stata la frammentazione dei movimenti che io chiamo pseudo-tradizionalisti, terribilmente simile alla frammentazione post rivolta protestante.

FSSPX, Resistenti, Sedevacantisti (varie denominazioni), Radio Spada… tutti si oppongono agli ultimi Papi con argomenti decisivi (secondo loro) eppure tutti diversi e contraddittori. Troppe somiglianze con Lutero, Calvino, Zwinglio, Melantone etc.

Cosa accomuna tutti questi (Protestanti e Pseudo-Tradizionalisti), oltre la divisione tra loro? La scelta delle cose da credere, considerando gli uni la Bibbia, gli altri il Denzinger, quasi un vassoio da cui scegliere quello che, “secondo loro”, è veramente Cristiano o Cattolico.

Della santa terna “Credere Deum, Credere Deo, Credere in Deum” viene a cadere il Credere Deo, cioè il credere a un dono perché dono dall’alto e non scelta dal basso; viene a cadere la soprannaturalità della fede, ciò per cui la fede soprannaturale è propriamente tale.

Scrive San Tommaso:

“…si aliquis credat Deum esse per aliquas rationes humanas et naturalia signa, nondum dicitur fidem habere, de qua loquimur, sed solum quando ex hac ratione credit quod est a Deo dictum, quod designatur per hoc quod dicitur credere Deo; et ex hoc fides specificatur, sicut et quilibet cognoscitivus habitus speciem habet ex ratione, per quam assentit in aliquid”[5].

Non posso decidere io le cose da credere, scegliere cosa va bene e cosa no, perché quod est a Deo dictum è necessariamente proposto qui e ora dal Magistero.

E come il credere Deo è ciò che è formale nella fede, il credere sibi è ciò che è formale nell’eresia; sempre l’Aquinate afferma:

“…sicut Hieronymus dicit super epistolam ad Galatas, haeresis Graece ab electione dicitur: quia scilicet eam sibi unusquisque eligat disciplinam, quam putat esse meliorem: ex quo duo accipi possunt. Primo quidem quod de ratione haeresis est, quod aliquis privatam disciplinam sequatur, quasi per electionem propriam: non autem disciplinam publicam, quae divinitus traditur. Secundo quod huic disciplinae aliquis pertinaciter inhaereat. Nam electio firmam importat inhaesionem: et ideo haereticus dicitur, qui spernens disciplinam fidei, quae divinitus traditur, pertinaciter proprium errorem sectatur”[6].

La fede necessità di un’autorità che proponga le cose da credere, un autorità viva e reale, e questo primo principio non può essere un libro (Bibbia o Denzinger), di cui io mi ponga, con il mio povero intelletto, come ultima e decisiva istanza ermeneutica.

D’accordo che in sé il sensus Fidei è unico per tutta la Chiesa, ma chi garantisce che il mio pensiero corrisponda esattamente al  vero sensus Fidei proprio della Chiesa stessa?

Mi rendo conto che questi bei principi si scontrano apparentemente con la drammatica situazione attuale, dove, se non è chiara la via da prendere, sono tuttavia chiarissime le vie da non imboccare: queste sono tutte quelle ipotesi in cui la propria interpretazione si pone al di sopra del Magistero.

Allora, nella serie di ermeneutiche di un luogo teologico, è necessario un primo ingiudicabile punto di riferimento, analogamente al filo conduttore delle cinque vie di San Tommaso. Non si può procedere all’infinito, in un loop testo-obiezione privata: “…infinitum impossibile est transire. Si igitur inquisitio consilii sit infinita, nullus consiliari inciperet. Quod patet esse falsum”[7].

Scriveva San Giovanni Paolo II:

“L’interpretazione di questa Parola [e, aggiungo io, analogamente, di una testimonianza autentica della Tradizione, la quale, insieme alla Parola, costituisce la Rivelazione] non può rimandarci soltanto da interpretazione a interpretazione, senza mai portarci ad attingere un’affermazione semplicemente vera; altrimenti non vi sarebbe rivelazione di Dio, ma soltanto l’espressione di concezioni umane su di Lui e su ciò che presumibilmente Egli pensa di noi”[8].

E adesso, dopo queste premesse, provo a rispondere alla sua affermazione “abbiamo una ragione e un sensus Fidei che ci illuminano per comprendere chi lo fa, e respingere ogni vento di novità”.

Rispondo che questo stesso sensus Fidei ci impedisce di giudicare la Sede Apostolica, ma ci permette di rivolgere alla stessa Autorità delle domande. È il metodo dei dubia dei quattro cardinali. Metodo che non ha sortito i frutti sperati, ma metodo autenticamente cattolico, e, che, come insegna ancora San Tommaso, darà i suoi frutti:

“Et Augustinus dicit… Melius est enim in via claudicare, quam praeter viam fortiter ambulare. Nam qui in via claudicat, etiam si parum proficiscatur, appropinquat ad terminum; qui vero extra viam ambulat, quanto fortius currit, tanto magis a termino elongatur”[9].

A chi mi irridesse circa l’efficacia dei dubia dei Cardinali, dicendo “Campa cavallo che l’erba cresce”, ripeto le parole dell’Aquinate: “Nam qui in via claudicat, etiam si parum proficiscatur, appropinquat ad terminum”.

E se nei pochi minuti di questa esistenza terrena non faremo in tempo ad avvicinarci in prossimità del terminum (il trionfo del Cuore Immacolato di Maria), ne saremo in ogni caso sempre più vicini che se prendessimo posizioni erronee, e soprattutto contribuiremo all’abbreviamento dei tempi anticristici, dell’arco di tempo che ci separa da questo stesso trionfo: “propter electos breviabuntur dies illi”[10].

Eccellenza, io l’ho sempre stimata e tante volte ho ringraziato Dio per l’esistenza della Sua persona. La prego, si unisca a Burke, Sarah, Ejik, Cordileone etc (a dir la verità molto pochi) e non sia possibile annoverarLa nella serie della FSSPX, Sedevacantisti, Resistenti, Radiospadisti… che non sia la Sua una delle molteplici opinioni tra di loro contradditorie, seguendo le quali ci poniamo fuori da quel Corpo mistico, dalla vera Sposa di Cristo, da quella realtà spirituale sublime, nel contempo “visibile e palpabile come il ceto del popolo romano, o del regno di Francia o della repubblica di Venezia”.

Suo nel Signore

Don Alfredo Maria Morselli.


[1] Lettere di S. Paolo della Croce fondatore dei Passionisti disposte ed annotate dal p. Amedeo della Madre del Buon Pastore della stessa congregazione, vol. IV, Roma, 1924, p. 48.

[2] Mt 16,18.

[3] Lc 22,32.

[4] “Eacclesia enim est coetus hominum ita visibilis et palpabilis ut est coetus populi romani, vel regnum Galliae, aut respublica Venelorum”. (S. R. Bellarminus, De controversiis christianae fidei adversus hujus temporis haereticos, II, lib. 3, De Ecdesia militante, caput II, Neapoli, Apud Josephum Giuliano, 1857, tomus II, p. 75).

[5] Super Rom., cap. 4 l. 1.

[6] Super I Cor. [reportatio vulgata], cap. 11 l. 4.

[7] S. Th. Iª-IIae q. 14 a. 6 s. c., applicato al nostro caso analogicamente.

[8] Lett. Enc. Fides et Ratio, 14-9-18984, § 84.

[9] Super Io., cap. 14 l. 2.

[10] Mt 24,22.