La conversione finale degli Ebrei è pre-escatologica.

La conversione finale degli Ebrei è pre-escatologica.

Oggi, 25 gennaio, celebriamo la festa della conversione di San Paolo; è un giorno opportuno per pregare per la conversione degli Ebrei, perché quel che è successo a San Paolo succeda, seppure non necessariamente nello stesso modo, a tutti.

Pro conversione Iudaeorum 

Oremus et pro Iudaeis 

Ut Deus et Dominus noster illuminet corda eourm, ut agnoscant Iesum Christum salvatorem omnium hominum 

Oremus. Flectamus genua. Levate 

Omnipotens sempiterne Des, qui vis ut omnes homines salvi fiant et ad agnitionem veritatis veniant, concede propitius, ut plenitudine gentium in Ecclesiam Tuam intrante, omnis Israel salvus fiat. Per Christum Dominum nostrum. Amen».

Questa preghiera ci ricorda anche il dovere di un particolare impegno di apostolato nei confronti dei nostri fratelli maggiori. Certamente distingueremo questo impegno dalla missio ad gentes; certamente staremo attenti a non far decadere questo impegno nel cosiddetto proselitismo, vista la connotazione negativa che questo termine ha preso o che gli è stata concessa; e certamente sappiamo distinguere la conversone degli Ebrei, che è una sorta di compimento [1], da quella di chi non è mai venuto a contatto con la Rivelazione soprannaturale.

Si discuta pure sul termine da usare, ma la sostanza rimanga: si tratta di quell’impegno per cui Eugenio Zolli, Alfonso Ratisbonne, i fratelli Agostino e Giuseppe Lémann, il rabbino Paul Drach, Hermann Cohen, François Libermann, Edith Stein e tanti altri hanno chiesto il Battesimo; senz’altro essi sono stati guidati e mossi dalla grazia di Gesù Cristo, la quale però è stata coadiuvata abbondantemente da cattolici, che hanno saputo accoglierli e accompagnarli fino alla rinascita dall’acqua e dallo Spirito.
Riteniamo, sulla base della parole di Gesù – che ci dice di non temere “quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo” -, che la peggior forma di anti-ebraismo sia non annunciare agli Ebrei lo stesso Gesù Cristo, salvatore di tutti gli uomini

Inoltre, se dobbiamo essere, con Papa Francesco, Chiesa in uscita, non possiamo non ricordare che le prime uscite della Chiesa apostolica furono nel tempio [2] e nelle sinagoghe: per esempio quella di Tessalonica, dove San Paolo “…vi andò e per tre sabati discusse con loro sulla base delle Scritture, spiegandole e sostenendo che il Cristo doveva soffrire e risorgere dai morti. E diceva: – Il Cristo è quel Gesù che io vi annuncio –” [3].

Ancora, nel dialogo inter-religioso, non possiamo dimenticare la franchezza a cui ci esorta il Pontefice, il quale ha recentemente ribadito che “perché [il] dialogo [interreligioso] ed incontro sia efficace, deve fondarsi su una presentazione piena e schietta delle nostre rispettive convinzioni. Certamente tale dialogo farà risaltare quanto siano diverse le nostre credenze, tradizioni e pratiche. E tuttavia, se siamo onesti nel presentare le nostre convinzioni, saremo in grado di vedere più chiaramente quanto abbiamo in comune. Nuove strade si apriranno per la mutua stima, cooperazione e anche amicizia” [4] .
Purtroppo, da alcuni decenni ha preso sempre più piede, propugnata anche da autorevoli personalità cattoliche, la teoria delle due vie parallele di salvezza [5], per cui gli Ebrei non devono assolutamente convertirsi o riconoscere Gesù come Messia, ma proseguire tali quali come sono adesso il loro cammino sino alla fine del mondo.
Tra i propugnatori di questa teoria c’è anche il Card. Kasper, il quale evidentemente non semina errori solo in campo di morale matrimoniale e sacramentaria, ma in universa theologia.

Il porporato tedesco, dopo la promulgazione della Dominus Jesus, nella sua veste di Presidente della Commissione per le Relazioni Religiose con gli Ebrei, li aveva tranquillizzati – nel 2001 – dicendo loro che il documento in questione “non afferma che tutti debbano diventare Cattolici per essere salvati da Dio. Al contrario, dichiara che la grazia di Dio – che, secondo la nostra fede, è la grazia di Gesù Cristo – è a disposizione di tutti. Di conseguenza, la Chiesa crede che l’Ebraismo, cioè la risposta fedele del Popolo ebreo all’alleanza irrevocabile di Dio, è per esso fonte di salvezza, perché Dio è fedele alle sue promesse” [6]. 

Lo stesso Kasper, nel 2002, aveva aggiunto: “Questo non significa che gli Ebrei per essere salvati devono diventare cristiani: se questi seguono la loro coscienza e credono nelle promesse di Dio e le comprendono nelle loro tradizioni, essi sono il linea con il piano di Dio, che per noi perviene al suo compimento storico in Gesù Cristo” [7].
Dopo che il Benedetto XVI aveva di fatto invalidato questa linea interpretativa inserendo nel Messale Romano del 1962 la dicitura rubricale “Pro conversione Iudaerorum” e la nuova preghiera, Il Card Kasper dovette affrontare il redde rationem degli Ebrei, che molto preoccupati [8], gli chiedevano “Che cosa ci hai raccontato in tutti questi anni?”
Il Porporato tedesco dovette sudare sette camicie per continuare a presentare come dottrina cattolica il grave errore a cui lui e tanti altri sono affezionati: in un articolo sull’Osservatore Romano, cercò invano di arrampicarsi sugli specchi, escatoligizzando la conversione dei Giudei, cioè facendola coincidere con al fine dei tempi quando non ci sarà più una chiesa visibile. Ecco le parole del Card. Kasper:

“Nel senso dell’apostolo Paolo si dovrebbe piuttosto dire che la salvezza della maggior parte degli ebrei viene comunicata attraverso Cristo, ma non attraverso l’entrata nella Chiesa. Alla fine dei giorni, quando il Regno di Dio si realizzerà definitivamente, non ci sarà più una Chiesa visibile. Si tratta quindi del fatto che alla fine dei giorni l’unico Popolo di Dio composto di ebrei e pagani divenuti credenti sarà di nuovo unito e riconciliato” [9].

L’argomento del Card. Kasper è assolutamente insostenibile: egli scrive dapprima che non ci sarà più una Chiesa visibile, ma poi parla di ebrei e pagani divenuti credenti.

Innanzi tutto è assai spregiudicato attribuire a San Paolo una qualsiasi divisione tra Cristo e la Chiesa. Inoltre, i credenti sono solo in questa vita e in questa storia, perché dopo questa storia non ci sarà più la fede: quando la Chiesa non sarà più visibile, ma sarà sotto la specie di Gerusalemme celeste, non ci saranno più credenti, ma comprensori!
S. Paolo inoltre, in Rm 11,23, pone agli Israeliti, recisi per la loro incredulità, al fine di essere reinnestati e di far parte di quel tutto Israele che sarà salvato, la condizione di non perseverare nell’incredulità:

“Anch’essi, se non persevereranno nell’incredulità, saranno innestati; Dio infatti ha il potere di innestarli di nuovo!”

Non perseverare nell’incredulità significa avere fede, e la fede non è cosa da evento escatologico, ma da tempo prima dell’evento escatologico; la fede è solo dell’uomo viatore, perché dopo o c’è la visione beatifica, o la terribile fede informe dei demoni e dei dannati. Anche gli Ebrei dovranno mettere olio nella lampada prima che si chiudano le porte della sala delle nozze [10]!

Altri argomenti contro la escatologizzazione della conversione degli Ebrei.

Augustin e Joseph Lémann [11], nel loro libro La question du Messie et le concile du Vatican [12], portano un altro importante argomento contro il tentativo di portare fuori dalla storia il tempo della conversione degli Ebrei.
Commentando Rm 11, 11-12 [13] , essi osservano:

“L’apostolo San Paolo, questo ebreo che ha visto chiaro nei destini del nostro popolo, chiama la conversione degli ebrei la ricchezza del mondo; la chiama ancora un ritorno della morte alla vita. “Se la rovina degli ebrei, esclama, è stata la ricchezza del mondo, quanto la loro risurrezione arricchirà il mondo ancora di più; e se la caduta degli ebrei è stata la salvezza del mondo che sarà il loro ritorno, se non un ritorno della morte alla vita!.” Non è dunque con la fine del mondo, ma davvero con il più stupefacente splendore del mondo, che coinciderà la conversione degli ebrei. Si convertiranno, non per annunciare che tutto va a finire, ma per annunciare che tutto va a ringiovanire e sbocciare; perché se la conversione degli ebrei dovesse condurre alla fine, l’apostolo non avrebbe detto – non avrebbe potuto dire – che la loro conversione sarà per il mondo un ritorno della morte alla vita; non avrebbe potuto dire che sarà una ricchezza – e una ricchezza come quella che vi hanno procurato -, oh nazioni cristiane, lasciandovi prendere il loro posto sull’olivo genuino; non sarebbe stata termine di paragone con quella che vi procureranno quando ritorneranno all’olivo. La scrittura adopera delle espressioni stupefacenti per designare la magnificenza di questa epoca, lo chiama la pienezza delle nazioni” [14]. 

L’esegesi dei fratelli Lémann è correttissima: l’argomentazione paolina si svolge sui canoni di due figure retoriche: da un lato la syncrisis o confronto (vengono messi in parallelo le conseguenze della caduta e della risurrezione dell’Israele infedele); dall’altro la forma midrashica detta qal wahomer (Lett. = leggero e pesante, dal meno al più). Quest’ultimo tipo di argomentazione è una sorta di ragionamento induttivo, per cui da un fatto particolare ne deriva un altro di maggior portata: nel nostro caso, analogamente al fatto che la caduta degli Israeliti è stata occasione dell’ingresso dei pagani nell’Alleanza, dal reinnesto degli stessi Israeliti deriverà qualcosa di ancora più straordinario.

Si potrebbe obiettare a questo tipo di argomentazione la palese infrazione della regola logica per cui le conclusioni non possono essere più ampie delle premesse. In realtà il principio soggiacente e vera premessa maggiore di questo particolare sillogismo è che con Cristo tutto ciò che era ombra è divenuto realtà (e anche prima di Cristo, per i rabbini, la scrittura volge al suo compimento); il compimento della Scrittura in Cristo è il fondamentale passaggio dal meno al più, dal quale deriva tutto lo svolgersi della storia della salvezza, che è tutto un processo dal meno al più. In questo compimento, non solo le prefigurazioni si avverano, ma il peccato dell’uomo si risolve in evento salvifico. È per questo che San Paolo può dire, ad esempio, che “se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l’abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo”; ed è per questo che la Chiesa canta, la notte di Pasqua, o felix culpa!

Ma ora torniamo alla caduta di Israele secondo la carne: se dalla loro caduta ne è venuto un bene enorme, ovvero l’innesto dell’oleastro selvatico (i pagani) sull’olivo verace (la radice santa di Israele) – questo è il meno -, quanto più verrà dal loro reinnesto sulla radice connaturale un tempo abbandonata!

Giustamente dunque i fratelli Lémann osservano che questo più non può essere se non un beneficio nella storia maggiore dell’ingresso dei pagani nell’Alleanza, e non può quindi coincidere con la fine del mondo; e sarebbe illogico ipotizzare un compimento extra-storico, perché il primo termine di paragone è un fatto reale ben piantato nella storia e quindi non siamo autorizzati ad un passaggio ad aliud genus.

A sostegno di questo argomento i Lémann portano anche un principio di teologia della storia, formulato da Bossuet nel suo capolavoro Discours sur l’Histoire universelle: secondo l’Aquila di Meaux, i fatti storici, nel loro rapporto causa ed effetto, sono proporzionati tra loro [15]. Scrivono dunque i pii Isareliti:
“Ora, Dio che vuole, come parla Bossuet, che la storia umana abbia le sue proporzioni, non potrebbe permettere che questa pienezza [delle nazioni] per la quale tutti i secoli sono stati in travaglio, duri solamente pochi giorni, ed egli non farà incombere bruscamente su di essa la fine del mondo” [16].

Conclusioni

Il prossimo venerdì santo reciteremo con maggior fiducia la preghiera pro conversione Iudaeroum, certi che la conversione degli Ebrei non è rimandata alle calende greche di un tempo fanta-teologico ed extra-storico.

La reciteremo per il relativamente piccolo numero di Ebrei che continuamente si converte, in collegamento con il resto di Israele che ha accolto Gesù come Cristo (“Così anche nel tempo presente vi è un resto, secondo una scelta fatta per grazia” Rm 11,5); ma la reciteremo anche perché siano abbreviati i tempi che ci separano da quel mirabile e più ampio reinnesto dei rami recisi, che tanto bene apporterà alla storia e alla Chiesa, ben prima che alla fine del mondo.

E preghiamo anche per la conversione di tutti coloro che hanno paura di predicare Cristo agli Ebrei.


[1] Così Eugenio Zolli descrive la sua conversione: “Quando gli chiedevano perché aveva rinunciato alla Sinagoga per entrare nella Chiesa, [Zolli] rispondeva: “Ma io non vi ho rinunciato. Il cristianesimo è il compimento della Sinagoga. La Sinagoga infatti era una promessa e il cristianesimo è il compimento di questa promessa. La Sinagoga indicava il cristianesimo; il cristianesimo presuppone la Sinagoga. Vedete, dunque, che l’una non può esistere senza l’altra. In realtà io mi sono convertito al cristianesimo vivente”; Judith Cabaud, Il rabbino che si arrese a Cristo. La storia di Eugenio Zolli, rabbino capo a Roma durante la seconda guerra mondiale, prefazione di Vittorio Messori, Cinisello Balsamo (MI): San Paolo, 2002, p. 98.[2] “…ogni giorno, nel tempio e a casa, non cessavano di insegnare e di portare il lieto annunzio che Gesù è il Cristo”; At 5,42.[3] At 17, 1-3.[4] Discorso presso il Bandaranaike Memorial International Conference Hall, Colombo, Martedì, 13 gennaio 2015; testo citato dal sito WEB della Santa Sede.[5] Questa teoria era già stata riprovata nel documento del Segretariato per l’Unione dei Cristiani (Commissione per i rapporti religiosi con l’ebraismo),Ebrei ed ebraismo nella predicazione e nella catechesi cattolica (24 giugno 1985), I, 7: “Chiesa ed ebraismo non possono essere presentati dunque come due vie parallele di salvezza e la chiesa deve testimoniare il Cristo redentore a tutti”.[6] “The only thing I wish to say is that the Document Dominus Iesus does not state that everybody needs to become a Catholic in order to be saved by God. On the contrary, it declares that God’s grace, which is the grace of Jesus Christ according to our faith, is available to all. Therefore, the Church believes that Judaism, i.e. the faithful response of the Jewish people to God’s irrevocable covenant, is salvific for them, because God is faithful to his promises.” Walter KAsper, «Dominus Jesus» New York, 1 maggio 2001, Sessione “Scambio d’informazioni” sulla Dominus Jesus. Testo reperito al sito: http://tinyurl.com/otnfrfh; trad. it. al sito http://tinyurl.com/yh4o8ba, visitati il 26 aprile 2015.[7] “This does not mean that Jews in order to be saved have to become Christians; if they follow their own conscience and believe in God’s promises as they understand them in their religious tradition they are in line with God’s plan, which for us comes to its historical completion in Jesus Christ”. Walter Kasper, «The Commission for Religious Relations with the Jews:  A Crucial Endeavour of the Catholic Church», conferenza preso il Boston College, 6-11-2002. Testo reperito al sito: http://tinyurl.com/pepglls, visitato il 26 marzo 2015.[8] Riccardo di Segni dichiarò nel 2010: “Su questo mutamento del testo tutti i rabbini del mondo hanno dichiarato la loro preoccupazione, seppur con diversi livelli di allarme”. «Ebrei e cattolici. Dialogo o conversione?» Colloquio di Lia Tagliacozzo con Riccardo Di Segni, in http://tinyurl.com/pc58sqe, visitato il 26 marzo 2015.[9] «La discussione sulle recenti modifiche della preghiera del Venerdì Santo per gli ebrei», L’Osservatore Romano, 10-4-2008, nota 6.[10] Cf. Mt 25, 1-13.[11] Ebrei convertiti francesi del XIX secolo, che si fecero sacerdoti e dedicarono poi la loro vita per la conversione del loro popolo Per la storia dei fratelli Lémann, vedi Théotime de Saint Just, Les frères Lémann. Juifs Convertis, Paris, 1937.[12] Paris – Lyon 1896, pp. 150-156 in particolare.[13] Ora io dico: forse inciamparono per cadere per sempre? Certamente no. Ma a causa della loro caduta la salvezza è giunta alle genti, per suscitare la loro gelosia. 1Se la loro caduta è stata ricchezza per il mondo e il loro fallimento ricchezza per le genti, quanto più la loro totalità![14] “L’apôtre saint Paul, ce juif qui a vu clair dans les destinées de notre peuple, appelle la conversion des juifs la richesse du monde, il l’appelle encore un retour de la mort à la vie. «Si la ruine des juifs, s’écrie-t-il, a été la richesse du monde, combien leur résurrection enrichira-t-elle le monde encore davantage; et si la perte des juifs a été le salut du monde, que sera leur retour, sinon un retour de la mort à la vie!» Ce n’est donc point avec la fin du monde, mais bien avec la plus étonnante splendeur du monde que coïncidera la conversion des juifs. Ils se convertiront, non pas pour annoncer que tout va finir, mais pour annoncer que tout va rajeunir et s’épanouir; car si la conversion des juifs devait amener la fin, l’Apôtre n’aurait pas dit, il n’aurait pas pu dire que leur conversion sera pour le monde un retour de la mort à la vie; il n’aurait pas pu dire qu’elle sera une richesse, et une richesse telle que celle qu’ils vous ont procurée, ô nations chrétiennes, en vous laissant prendre leur place sur l’olivier franc, ne saurait être comparée à celle qu’ils vous procureront quand ils reviendront à l’olivier. L’Écriture emploie des expressions étonnantes pour désigner la magnificence de cette époque, elle l’appelle la plénitude des nations”; La question du Messie, pp. 150-151.[15] “Car, Monseigneur, ce même Dieu qui a fait l’enchaînement de l’Univers, et qui tout-puissant par lui-même, a voulu, pour établir l’ordre, que les parties d’un si grand tout dépendissent les unes des autres; ce même Dieu a voulu aussi que le cours des choses humaines eût sa suite et ses proportions: je veux dire que les hommes et les nations ont eu des qualités proportionnées à l’élévation à laquelle ils étaient destinés; et qu’à la réserve de certains coups extraordinaires où Dieu voulait que sa main parût toute seule, il n’est point arrivé de grands changements qui n’ait eu ses causes dans les siècles précedens (sic)”; La Haye 1696/5, pp. 357-58.[16] “Or, Dieu qui veut, comme parle Bossuet, que l’histoire humaine ait ses proportions, ne saurait permettre que cette plénitude, pour laquelle tous les siècles ont été en travail, ne dure que peu de jours, et il n’amènera point brusquement sur elle la fin du monde”; La question du Messie, p. 151.